Letterato
I suoi vari interessi, dalla medicina alla chiromanzia, dalla cultura
scritta a quella orale, gli causeranno non pochi problemi. Dal 1462 al
1477 ricopre la carica di lettore di Retorica e Poesia presso
l'Università di Bologna, lavora a Padova e quindi in
Ungheria, ma a causa di una sua opera ("De incognita Vulgo") nel 1477
viene accusato di eresia dall'Inquisizione ed è costretto a
ritrattare pubblicamente le sue tesi. La sua eresia, quella per cui
verrà condannato e che emerge dai suoi scritti, è
cristologica: egli sembra infatti negare la necessità
dell'incarnazione per la salvezza dell'umanità, sebbene poi
egli stesso si preoccupi della salvezza degli uomini virtuosi
dell'antichità classica… Attorno alla sua figura
nasce un problema di ricostruzione filologica: ci rimangono infatti
solo 10 lettere autografe, mancano invece completamente le trascrizioni
delle sue lezioni a Padova, o ricordi di alunni. Restano invece alcune
polemiche con altri Umanisti dell'epoca, spesso a causa della sua
professione di medico, suo primo interesse. La sintesi tra letteratura
e medicina è anch'essa un segno della modernità
dell'umanesimo di Galeotto. Le sue polemiche con i colleghi italiani
(il Filelfo ed il Merula tra gli altri) dimostrano anche una certa
"antipatia" di questi verso l'emigrante narnese, o quantomeno una
scarsa comprensione per la sua metodologia non ortodossa. Alcuni
umanisti lo attaccano perché lui - caso quasi unico nella
cultura ufficiale dell'epoca - non conosce il greco, né la
cultura ellenistica, sebbene il Marzio dichiara di averla invece
imparata da Giano Pannonio, che gliela insegnò nella sua
casa di Montagnana (fatto poi smentito). Nell'opera "De Homine" (una
ricognizione della fisicità dell'uomo sotto l'aspetto medico
- filosofico) si preoccupa del bene fisico degli uomini, ed indica
alcune ricette per curare malattie quali la sciatica, sbagliando
l'etimo delle parole greche (disonorevole colpa!); eppure egli stesso
rileverà più volte l'esigenza (umanistica, questa
sì) di studiare il greco. Esiste anche una raccolta di
Carmina di Galeotto, troppo esigua però per ricostruire la
sua fisionomia di poeta della lingua latina. Si interessa sicuramente
di filologia, antiquario nell'accezione umanistica, almeno fino al
1476, anno in cui rinuncia a pubblicare opere di carattere filologico -
letterario. Con il libro "De Doctrina Promiscua" (1489), dedicato a
Lorenzo dei Medici, Galeotto cerca di ristabilire un contatto con
l'ambiente mediceo e con l'avanzato umanesimo fiorentino, ma senza
successo: troppo distante è il suo umanesimo da quello
mediceo. Galeotto forse intuisce la sterilità di un
Umanesimo italiano corretto filologicamente (per così dire
alla Bembo), e la sua distanza rispetto ad una figura come quella di
Erasmo da Rotterdam: il suo ideale resta quello di una perizia
universale nelle arti e nelle scienze.
Lapide commemorativa posta nel 1938 nella casa
natale a Narni
Medico
Medico in un periodo in cui
la medicina umanistica sfocia spesso in altre materie: lettere,
filologia, astrologia, chiromanzia, filosofia. Il Serdonati, traduttore
in volgare fiorentino del De Doctrina Promiscua, lo dipinge, infatti,
come "… interessato alla filosofia ed alla medicina,
astrologia, arti matematiche ed arte oratoria e poetica …"
Un interesse particolare Galeotto lo dimostra anche per le scienze
alchemiche, fatto non raro in questo periodo in cui chimica ed alchimia
spesso coincidono nelle tesi degli Umanisti. Per alcuni scienziati
però questa rimane fortemente legata alla magia, all'idea di
imbroglio. Anche l'ambiente ungherese, quella corte di Mattia Corvino
che lo vede protagonista a Budapest, offre nel XV° secolo la
compresenza di molte personalità a metà strada
tra arti mediche e magiche, che vanno a sovrapporsi con l'anatomia vera
e propria. L'opera maggiore del Galeotto, il De Homine, consta di due
libri: il primo tratta le parti esterne ed il secondo le parti interne
dell'essere umano. E' sostanzialmente un compendio letterario circa
alcune patologie dell'uomo, influenzato da tesi aristoteliche e latine.
Galeotto però spesso si dilunga sulle radici etimologiche
delle malattie affrontate, senza esaminarle profondamente (e, come
visto, commettendo errori filologici …). Il XV°
secolo segna anche la ripresa dello studio (anche su stimolo
mediorientale, o arabo) degli effetti dell'astrologia sul corpo,
così come l'interesse per la chiromanzia. Il Marzio non
considera affatto medici coloro che ignorano le due arti! Egli accetta
e riprende il legame tra umori, qualità e pianeti da una
parte e la salute dell'uomo dall'altra, per cui l'interazione del
macrocosmo con l'uomo (microcosmo) lascia tracce visibili sulle linee
della mano.
Figura di spicco, eccezione
alla regola, è però proprio Galeotto, della
famiglia dei Marzi: i suoi vari interessi,
dalla medicina alla chiromanzia, dalla cultura scritta a quella orale,
gli hanno causato non pochi problemi.
presso la fonte
Feronia
Nel
1445 risulta alla scuola di Guarino Guarini a Ferrara, dove nel 1447
strinse amicizia con un nipote del vescovo ungherese János
Vitéz, il tredicenne János Csezmicze, futuro
poeta con il
nome di Janus Pannonius, dal cui carteggio e dai cui versi si
rintracciano, oltre a un’affinità di idee,
riferimenti
cronologici e psicologici essenziali, divenuti emblematici della figura
del M.: l’indole irrequieta, la vis polemica
e il linguaggio mordace, nonché la gagliardia fisica e una
corporatura imponente. La stessa fonte accenna alla sua presenza a Roma
per il giubileo indetto nel 1450 da Niccolò V, ma
è il M.
stesso a esprimere lo scoramento allora provato nei versi De desolatione Urbis, che fanno parte di
un’esigua raccolta di Carmina del
periodo ferrarese.
Dall’autunno
1454 il M. abitò in territorio veneto, a Montagnana, dove si
era
già insediata una colonia di Narnesi al seguito di Erasmo da
Narni detto il Gattamelata e dove risultano atti di compravendita e
locazione di terreni, alcuni dei quali stipulati dalla moglie del M.,
Sofia, sposata intorno al 1460.
Galeotto
Marzio alla corte del RE di Francia
Dal 1462 al 1477 ricopre
la carica di lettore di Retorica e Poesia presso
l’Università di Bologna, lavora a
Padova, e quindi in Ungheria, ma a causa di una sua opera "De incognita
Vulgo" nel 1477 viene accusato di eresia dall’Inquisizione,
ed è costretto a ritrattare pubblicamente le sue tesi, ma
viene comunque messo alla berlina!
La sua eresia,
quella per cui verrà condannato e che emerge dai suoi
scritti, è cristologica: egli sembra infatti negare la
necessità dell’incarnazione per la salvezza
dell’umanità, sebbene poi egli stesso si preoccupi
della salvezza degli uomini virtuosi
dell’antichità classica.
Attorno alla sua figura nasce
un problema di ricostruzione filologica:
ci rimangono infatti solo 10 lettere autografe, mancano invece
completamente le trascrizioni delle sue lezioni a Padova, o ricordi di
alunni.
Restano invece alcune polemiche con altri Umanisti
dell’epoca, spesso a causa della sua professione di medico,
suo primo interesse.
La sintesi tra letteratura e
medicina è anch’essa un segno della modernità
dell’umanesimo di Galeotto.
Le sue polemiche con i colleghi italiani (il Filelfo ed il Merula tra
gli altri) dimostrano anche una certa "antipatia" di questi (e
sicuramente incomprensione per la sua metodologia non ortodossa) verso
l’emigrante narnese.
Galeotto
alla corte del re d'Ungheria
Frutto
dei
soggiorni ungheresi dell'autore, l'opera che qui si presenta (1485),
ricca di spunti autobiografici, è la composizione
letterariamente più felice di Galeotto Marzio, singolare
figura
di grammatico curioso di tutte le artes: medicina, filosofia,
astrologia, chiromanzia, e altre ancora. Nato a Narni tra il 1423 e il
1428, allievo a Ferrara di Guarino Veronese, Marzio fu attivo tra
Padova, Montagnana, Bologna e, in brevi ma intense visite, in Ungheria.
Dedicato a Giovanni (János), figlio del re Mattia Corvino,
quasi
in funzione di speculum principis, e finora mai proposto integralmente
al pubblico italiano, lo scritto evoca vivacemente, con qualche punta
di malizia anticlericale, trattative diplomatiche, teatri di guerra,
tornei, recite di giullari, banchetti reali e dispute erudite. Grande
assente (o meglio, appena evocato) il Turco, che preme ai confini.
Pittura posta nella stanza di ingresso alla Sala Consigliare
Morì
si dice nel 1497 , ma la data non è certa
per molti oscilla tra il 1490 ed il 1497. In suo onore la Repubblica
Veneta fece coniare una medaglia ricordo.
Poeta clarissimo matematico e oratore.
ritratto attribuito
documenti presso archivio di Narni
per
approfondimenti vedi :
Testi in Ungherese
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