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Ebrei a Narni

 

 
 

 

La Gli Ebrei a Narni 

Ricerca di Rodolfo Ciuffoletti


                                                           GLI EBREI A NARNI

A partire dal XIII secolo iniziò un consistente esodo di ebrei versi l'Italia settentrionale, soprattutto dalla comunità romana, un esodo spontaneo determinato essenzialmente dalla marginalizzazione economica di Roma in quell'epoca, e non dalle persecuzioni. Anche in Umbria, a partire dal XIII secolo, si diffusero piccole comunità in quasi tutti i comuni. Gli ebrei di queste comunità gestivano banchi di prestito, su domanda delle città stesse, desiderose di sopperire alla scarsezza di denaro liquido, o esercitavano la professione di medico.
Non sempre gli ebrei sceglievano di abitare nelle località dove, pur saltuariamente, operavano come banchieri, soprattutto agli inizi, quando maggiore era la disponibilità di centri non ancora saturati dalla concorrenza. Sulla decisione di un prestatore di prendere stabile dimora in un luogo anziché un altro, intervenivano considerazioni di vario tipo.
Il Libro del prestatore e del debitore, redatto molto probabilmente nel XV secolo dal maestro Kaufmann, spiega a quali condizioni un banchiere ebreo potesse considerare una città come buona piazza: “Il banco deve trovarsi in una città circondata da mura, le cui porte siano serrate tutta la notte, al fine di essere protetti dai gruppi di armati e non, avidi di oggetti di valore che derubano i banchieri. In questa città deve tenersi una fiera annuale e tutte le settimane un mercato. Devono esservi una decina di botteghe che vendono pane e carne e altri generi di prima necessità e a giorni stabili deve risiedervi un tribunale con servizio di giudici e gendarmi, senza peraltro che la gente del contado goda i medesimi diritti dei cittadini. Questa città deve essere centro di commercio e luogo di transito. Essa deve essere ricca di acqua ed essere posta su un fiume navigabile. Ma, a rigore, basta che vi si trovi una sola fonte o anche un pozzo di acqua corrente, perchè un banchiere ebreo possa stabilirvisi.”
Perchè la loro presenza fosse accettata e garantita essi stipulavano con i Comuni dei veri e propri contratti di condotte, dove erano ben precisate le norme della convivenza che andavano dall'abitazione alla libertà di culto, all'esenzione di portare contrassegni, all'ammontare dell'interesse che poteva essere richiesto sulle somme prestate e che la Chiesa aveva fissato al limite del 20%, ma veniva superato ampliamente  a seconda delle necessità, come nel caso del comune di Todi che, nel 1420, fu costretto ad accettare un tasso d'interesse del 48%. Per quello che riguarda il segno di riconoscimento, contro ogni tentativo di mescolanza tra popolazioni cristiane ed ebree, soprattutto nei rapporti sessuali, è da ricordare che esso era stato imposto dal Concilio Lateranense del 1215, e poteva essere una rotella da applicare sui vestiti come un cappello o un tabarro, tutti nei colori rosso o giallo, che erano i più visibili. Tali imposizioni  tuttavia vennero frequentemente disattese e riproposte solo in momenti di particolare severità verso gli ebrei.
La migrazione di questi banchieri de Urbe, secondo Ariel Toaff, sarebbe stata incoraggiata dalla stessa Sede Apostolica, che avrebbe cercato di assicurarsi il controllo dei comuni dello  Stato della Chiesa, favorendo una loro dipendenza finanziaria da società di prestito Romanam Curiam sequentes, dapprima cristiane e poi ebraiche.
Se si esclude Perugia (1245) gli altri centri umbri entrarono in contatto con i fenatores romani pressappoco negli stessi anni: Spoleto (1260), Todi (1289),Terni (1292), Orvieto (1297), Assisi (1305) e Amelia (1307).
Sulla scorta di quanto avvenne nelle località limitrofe si può ritenere che gli ebrei siano giunti a Narni tra la fine del XIII secolo e l' inizio del XIV. Non è escluso tuttavia che Narni possa essere venuta in contatto con ebrei prima della fioritura di universitates iudeorum che interessò l'Italia centrale dalla fine del '200, come era accaduto per altre località umbre, quali Norcia e Nocera,dove, intorno alla metà del VI secolo, gli ebrei avevano esercitato l' esazione delle tasse. A Narni infatti esisteva una ecclesia Sancti Petri Iudeorum della quale si ha notizia almeno dal 1276 epoca che è sicuramente anteriore al consolidamento della comunità ebraica di formazione tardomedievale e nello stesso tempo è troppo recente perchè si possa pensare che gli ebrei arrivati in città alla fine del '200, qualora vi fossero già giunti, avessero già lasciato tracce nella toponomastica cittadina.
Ci sono comunque indizi che farebbero supporre una presenza ebraica a Narni, seppure sporadica, già dagli inizi del XIII secolo: nel 1220 nella la stipula di un contratto per la cessione di una casa con orto in enfiteusi, da parte del Capitolo della cattedrale, tra i testimoni compare un certo Habraham; 1222, altro contratto, tra i testimoni un certo Abrahamus e nel 1232, nella cessione di alcuni terreni al comune di Narni da parte di privati, tra i testimoni appare Andreas Iude.
Gli ebrei che compaiono nella documentazione relativa a Narni sono circa sessantacinque, ma quelli che si possono considerare stabilmente residenti a Narni, in tempi e per periodi diversi, sono poco più di una quarantina. Di solito vengono designati con il nome, spesso il patronimico; riscontrati anche due casi, quelli di Vitalis Perna e Dactalus Rosette, in cui il nome è seguito dal matronimico, e l' appellativo iudeus o iudea, più raramente hebraeus o hebraea, de Narnia.
Coloro il cui stanziamento in città era recente sono invece citati con nome e patronimico accompagnati dall' indicazione della località di provenienza e dalle formule impiegate indifferentemente: habitator nunc civitatis Narnie, habitator civitatis Narnie o habitator Narnie.
La differenza tra cives e habitator sta ad indicare che, mentre il primo è dotato di diritti pubblici e ammesso a godere di alcuni privilegi, il soggetto definito habitator è colui che ha la mera residenza, o meglio, il domicilio nel Comune ove convive con i cives in uno stato che si potrebbe definire di tolleranza. A Narni, delle 14 case prese in affitto o acquistate dagli ebrei, delle quali si è potuto accertare l' esatta ubicazione una, quella che nel 1380 teneva in locazione Liuccio di Liuccio d' Angelo, si trovava nel terziere Mezule, nella parrocchia di S. Andrea della Valle, e 13 in quello di Sotto, di cui tre nella parrocchia di S. Maria Impensole.
Da atti notarili risulta inoltre che, tra il XIV e il XV secolo, 8 case e botteghe su 10, appartenenti ad ebrei, erano situate nel terziere di Sotto. E nel terziere di Sotto, vicino al monastero di S. Bernardo, si trovava la chiesa di S. Pietro dei Giudei.
Anche la sinagoga doveva trovarsi in questa zona della città considerato l' uso invalso di quasi tutte le comunità dell' Umbria di allestire gli oratori all' interno di abitazioni private. I locali del tempio probabilmente ospitarono la scuola rabbinica che, secondo una fonte ebraica, funzionava a Narni nel 1452. Alla scola narnese si accenna si accenna in un solo documento, il testamento, datato 5 giugno 1475, di maestro Gaio, figlio del medico Mosè di Isacco da Rieti, residente a Narni, nel quale il magister Gaio lascia 10 ducati a suffragio della sua anima da distribuirsi agli ebrei poveri, da usarsi per la manutenzione del cimitero ebraico e per comperare olio per le lampade della sinagoga di Narni.
Da: “Gli ebrei: vita e mestieri di una minoranza”, in “La civitas narnese  nel basso medioevo, momenti di vita economica e sociale” - PELLEGRINI – in “Narni e i suoi Statuti”.

Anche ad Orvieto, nella metà del XIV secolo, gli ebrei dovevano abitare una zona ben definita se una strada della città andava a domibus iudeorum usque ad macellum platee comunis.

La scuola rabbinica nel 1452 era diretta da maestro Mosè di Isacco da Rieti, un medico e rabbino che fu anche filosofo, poeta e letterato nonché autore di diversi scritti filosofici e religiosi e del Miqdash Me'at (il piccolo santuario), un poema nel quale, sulla scorta della Commedia dell'Alighieri, è raccontato un immaginario viaggio tra le anime dei beati. Questo esponente di spicco della cultura giudeo-italiana del tempo non fu il solo intellettuale ebreo che sappiamo essere vissuto in città: per periodi più o meno lunghi fecero di Narni il proprio luogo di residenza anche il poeta Menahem ben Avram,  Benyamin ben Yizhaq ben Yequtiel e Avraham ben Yosef da Roma, due copisti attestati in città, rispettivamente, verso il 1370 e nel 1463.
Un ebreo di Narni, Guglielmo di Isacco (Benjamin ben Izchaq), verso il 1370, formulò una raccolta di regole per la corretta macellazione rituale, che divenne il testo su cui studiavano i candidati a sostenere l' esame della Shehitah, il manoscritto è conservato in Vaticano.
Da: “Love, work and death, jewish life in medieval Umbria” - TOAFF.

Della vivacità culturale della comunità narnese offre una ulteriore prova la circolazione al suo interno di libri come quelli di cui, nel febbraio 1383, si privarono Pulistella, la vedova di Gaiotto da Narni, e i suoi due figli in favore del correligionario Vitale di Abramo. L' atto, che documenta la interessante vendita, informa che, tra i volumi in oggetto, figuravano un  Pentateuco in ebraico e un non meglio precisato libro di preghiere.
Non a caso Roberto Bonfil ha parlato di quello narnese, che pure non dovette superare la cinquantina di individui, come un insediamento ebraico non trascurabile.
Il citato testamento del maestro Gaio contiene un riferimento ad un luogo legato alle esigenze cultuali, che per qualsiasi nucleo ebraico costituiva una necessità irrinunciabile e cioè  un terreno dove tumulare i propri defunti, che fosse distinto dalle sepolture cristiane. Non si sa dove il cimitero narnese fosse ubicato, ma sicuramente esso era extra muros, all' esterno delle mura cittadine.
Volendo fare una ipotesi, forse azzardata si può pensare alla zona che ancora oggi porta il nome di Vocabolo Marrano.
Nei capitoli del 1477 di Acquapendente è stabilito che agli ebrei sia licito et possino comprare terra per loro cimiterio o sepoltura secondo la loro usanza, facendo ditte cose in luochi più secreti se po'. E Salomone di Raffaele di Acquapendente, nel 1520, nel suo testamento dispone di tumulare il suo corpo in sepultura hebreorum more et stelo hebraico.

Negli Statuti di Narni (I/XXV) si legge che gli ebrei non potevano abitare in prossimità delle fonti: “ Nec debeant habitare iuxta fontes prope XXV pedales”, con riferimento ad una leggenda, nata in Savoia e poi diffusasi nell' Europa centrale durante la pestilenza del 1348, che dipingeva gli ebrei come avvelenatori di pozzi e sorgenti. In Italia, comunque, la peste nera non lascia segno nei rapporti tra la popolazione ebraica e quella cristiana.
Gli ebrei inoltre erano tenuti a pagare 4 fiorini d' oro (I/CCXLII) al Comune in occasione dell' annuale corsa all'anello di maggio, per l'acquisto di uno stendardo e di un anello; il vicario era incaricato di raccogliere la somma.
Gli ebrei, conformemente alla condotta firmata con il Comune, godevano degli stessi diritti dei cittadini narnesi in fatto di legislazione criminale e civile e i funzionari comunali erano invitati ad osservare con scrupolo i patti stipulati con gli israeliti
Nel capitolo III/CXII viene fatto divieto agli ebrei di comprare colombi o piccioni domestici.

Nella seconda metà del XIV secolo a Narni vivevano anche due “teutonici”: Giacobbe da Mosè e Isacco di Elia, che probabilmente erano giunti in Italia per sfuggire alle persecuzioni che in Germania colpirono gli ebrei dopo la Peste Nera, e che il 23 giugno 1373, comparvero dinanzi al notaio Cristoforo Silvestri per concludere un atto di pacificazione riguardante de omnibus et singulis iniuris, malefitis, percussionibus, culpis, excessibus et delictis factis, commissis et perpetratis per dictum Isahacche contra dictum Iacop.

Nel 1393, a Narni, Iucius Iannis Iude prende in affitto un pezzo di terreno ad laborandum.
Sempre nel 1393, da un documento riguardante un prestito a Spoleto, si ricava che un ebreo di origine romana, Aleuccio di Salomone de Urbe, si era insediato a Narni, dove aveva esercitato attività feneratizia e da lì si sarebbe poi trasferito a Spoleto.

Nel 1394 Vitale di Aleuccio da Narni a nome del padre Aleuccio di Salomone da Narni e dei fratelli Abramo, Angelo e Mosè, chiede di potersi stabilire in Amelia e chiede l' autorizzazione per prestare denaro nella città di Amelia, dove chiede di poter abitare: “Cum pro parte Vitale Aleutiis Salomonis, iudei de Narnia, sint exibita et producta in comuni quadam capitula et pacta, secundum que procuratore nomine dicti Aleutii sui patri  dictus Vitalis et suo proprio nomine ac vice...”.
Vitale propone i termini della condotta per l'approvazione del Consiglio Generale del Popolo. I termini includono una richiesta di protezione contro ogni eventuale iniziativa da parte del vescovo o inquisitore e un trattamento paritario con gli abitanti di Amelia per gli aspetti civili e penali. Chiede di non essere costretto a violare i principi della propria religione nell' esercizio della sua professione, specialmente per quanto riguarda il sabato e le altre feste ebree.
Il tasso di interesse permesso sarebbe dovuto essere di 2 bolognini per fiorino al mese, circa il 60% all' anno. Infine che gli ebrei possano commerciare liberamente in città e nel contado.
Dai Capitula haebraeorum delle riformanze di Amelia, 1394.

Si può risalire alle norme che regolavano l'attività creditizia attraverso la documentazione riguardante alcune operazioni effettuate dal banchiere Guglielmo di Abramo da Narni fra il 1383 e il 1411. Dagli oltre trenta rogiti pervenuti risulta anzitutto che erano praticati prestiti sia su carta, sia su pegno. Sulla natura degli oggetti prestati al banco di Guglielmo non si possiedono notizie sufficienti, tra questi comunque si trovano capi di abbigliamento, panni e gioielli, come due anelli d'oro e la corona con cinturini e allacciatura dorati una corona perlarum scacialectis et aboctonata de aurato, impegnati nel 1396 da Vicus Cecchini.
Nel 1406, tra i beni ricevuti in pegno dall'ebreo narnese, figura anche un terreno posto nella parrocchia di S. Maria Impensole, che, non essendo stato riscattato dal suo proprietario, Paulus Andrielli de Narnia, passò al banchiere.

Nel 1395 Ughelmus Abrami hebraeus de Narnia stipula un contratto acta ante domus dicti Ughelli.

Nel 1400 gli ebrei fanno istanza per essere ammessi ad esercitare, a Sangemini, il mestiere dell'usura di barbiere e di speziale, ma non vengono ammessi, perchè le loro condizioni ritenute inaccettabili.
Nel 1401 gli ebrei ripetono l'istanza di poter abitare e aprire bottega di barbaria, spetiaria e di far contratti usurai in Sangemini con vari capitoli: “Die 9 febrarii, convocato, congregato et coadunato publico et generali consilio etc...cum pro parte, vel per magistrum Sabatum ebreum demorantem in Interamnam sint a dicto N.M. petita certa pacta et capitula....intendit dictus magister Sabatus unum vel plures ebreos in dicta terra facere commorari ad faciend. artem barbitonsoriae, spetiariae et eorum quae requiruntur fieri per ebreos videlicet prestando sub fenore”.
Vennero accettate le loro condizioni ed ebbero assegnata una casa del Borgo, per la quale il comune di Sangemini pagava annualmente due fiorini di pigione.
Da: “L' antica città di Carsoli in Casventino, ora S. Gemino” - MILJ.

Non è chiaro se l' egregius vir maestro Salomone, di maestro Ventura da Arezzo, abbia risieduto stabilmente a Narni, ma si può presumere che egli l' abbia frequentata con una certa assiduità visto che era il medico personale del principe Paolo Orsini che, nel 1407, ottenne da Gregorio XII il vicariato di Narni.

1420 - “Vitalis ebreus narravit qualiter ipse mutuavit, in territorio Sanctigemini, famulis missis tunc illuc per d.num Verardum locumtenentem d.ni Tartaliae per ipsum comm.castrametantes pro sustentatione dictorum famulorum, duos florenos auri”.

La diminuzione degli interessi sui mutui, decretata dal comune di Rieti nel 1425 suscitò la reazione degli ebrei della città, che avanzarono una petizione al Comune dopo aver fatto multa consilia colloquia et ratiocinia super innovatione dictorum capitulorum per avere lo stesso trattamento ottenuto dagli altri ebrei feneranti e dimoranti nel territorio e nelle città soggette alla Chiesa. Maestro Mosè di Isacco da Rieti, e tre suoi soci, chiesero al comune di Rieti un capitolato che riprendesse quelli vigenti in alcune altre città, tra le quali Narni.
I priori di Rieti ritennero vantaggioso ritornare all' osservanza delle norme stabilite nel primitivo accordo.
Da: “Presenze ebraiche a Rieti nei secoli XIV-XV, “in “Italia giudaica, gli ebrei nello Stato Pontificio fino al ghetto (1555) – PUSCEDDU.

Nel 1430 abitava a Narni Dattilo di Salomone, originario di Ripatransone, al quale Oddo de Varris, vicecamerlengo papale, concesse il salvacondotto per viaggiare liberamente negli Stati della Chiesa. Un simile permesso fu concesso l'anno seguente anche a Dattolo di Abramo ebreo de Narnia.

Mosè da Rieti, visse a Rieti almeno fino al 1427, dopo questa data si ha notizia di suoi più o meno lunghi soggiorni a Roma, Perugia, Narni, Fabriano. A Rieti ricevette la nomina, per un anno, come medico condotto a Narni, tramite una lettera ufficiale, datata 27 gennaio 1437, del consiglio comunale reatino al prestanti artium et medicine doctori magistro Moisi ebreo de Reate nunc Narnee commorati. Venne eletto unanimiter et concorditer medico condotto e definito habitator Narnee. Si trattenne a Narni dove, nel 1452, fondò una scuola talmudica. Fu l'autore del Mikdash Meat, una nota imitazione della Commedia di Dante ed è ricordato come membro della Corte Rabbinica di Perugia e autore di manoscritti. Operò anche a Terni ed Amelia.
Usuraio e medico, ebbe tre figli: Leone, Bonaiuto e Gaio. Abitò a Narni in diversi periodi e vi possedette una casa, poi venduta al figlio Gaio.
Da: “Mosè da Rieti, filosofia naturale e fatti de Dio” testo inedito del secolo XV a cura di HIJMANS-TROMP.

Nel 1445 il medico magister Leone di magister Mosè da Rieti, residente a Narni, faceva richiesta al Consiglio Generale di Amelia di potersi trasferire nella città e prestare. Tra le clausole allegate alla richiesta vi erano la libertà di poter seguire il culto ebraico e l' acquisto di un terreno per uso cimiteriale. Le magistrature di Amelia, nella trattativa , proposero una condotta redatta visis quibusdam capitulis et pactis iudeorum Interamnis et iudeorum Narnee. Pochi mesi dopo il magister Leone risultava già essersi stabilito in città dove esercitava la professione medica e fenerava all' interesse di 2 baiocchi per fiorino al mese.

In una bolla, datata Perugia 17 febbraio 1458, Pio II Piccolomini loda il medico ebreo magister Daniele per il suo operato a Narni e Bagnoregio e gli concede il permesso di continuare ad assistere cristiani. Inoltre il magister Daniele è esentato dall'obbligo di portare il contrassegno degli ebrei: “...celebri et doctissimo medicine perito, magister Danieli Abrahe hebreo castrensi.. ..sane, pro parte tua nobis nuper exibita peticio continebat, quod tu, tam narniensi  et balneoregensi civitatibus quam quibusdam aliis locis nobis et Romanae Ecclesiae specialiter subditis in arte medicine in qua ineunte etate exercisti, multis christiani infermis opem et auxilium in eorum agratationibus prestisti...”

Nel 1478 Dattilo, figlio di Vitale, civis narniensis, compra una vigna per 9 ducati da Paolo Petri di Narni, in località Fiaccagnano.

Nel novembre 1478 Giuseppe, figlio di Leone da Rignano, giurando sui testi ebrei, iure in hebraicus licteris, more hebraeorum manu tactis scripturis,  riconosce di dovere a Bartolomeo Petri di Narni 36 ducati e17 bolognini.

Al pari di altri nuclei ebraici di analoghe dimensioni la comunità di Narni doveva comprendere soprattutto prestatori di denaro i quali operavano individualmente o in società come quella in arte mutuandi cum pignoribus ad lucrum fenoris et usure con capitale di 500 ducati di carlini, che nel febbraio 1501 costituirono Dattilo di Vitale da Narni e suo genero Elia di Guglielmo de Neapoli habitator in castro Toffie.

Nel 1504 gli ebrei di Trevi rifiutarono di pagare alla comunità ebrea di Roma la quota parte assegnata loro per i giochi di Agone e Testaccio. Il cardinale Raffaele Riario intervenne cercando di porre fine alla disputa fra ebrei, ma nuove proteste si levarono dagli ebrei di Perugia, Todi, Norcia, Narni, Amelia, Terni e altre città umbre, che non intendevano versare il loro contributo alla tassa per i giochi alla comunità di Roma, che avrebbe dovuto consegnarlo alle autorità vaticane.

Il 16 marzo 1507, a Città di Castello, ad istanza di fra Cherubino dei minori osservanti, predicatore in duomo, il Consiglio ordinò che gli ebrei portassero un berretto giallo e le ebree un velo giallo in testa.
Da: “Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Castello”, 1844.

Agli inizi del cinquecento venne fondata una sorta di società finanziaria con atto rogato in latino da notai cristiani e in ebreo da autorità rabbiniche. Questa società comprendeva i rappresentanti dei commercianti e ambulanti ebrei che operavano a Spoleto, Narni, Castel di Lago, Aquila, Ascoli. Per fare parte di questa società ogni comunità era tenuta ad investire nel giro di affari una somma variante tra i 50 e i 60 fiorini. Gli ebrei di Narni, come facenti parte di questa società,  insieme a quelli della legatio di Perugia, del ducato di Spoleto, Rieti, Terni e contado, furono beneficiari, nel 1514, della conferma dei loro privilegi da parte del cardinale Raffaele Riario, camerlengo papale; essi vennero così chiamati a radunarsi a Foligno per ordine di Bonaiuto di Emanuele da Montefalco e Isahac da Narni, sindaci e collettori di tasse.

Negli anni 1510-1545 ebrei originari di Narni risultano fenerare a Città di Castello, mentre nel 1545 la Sede Apostolica concesse licenza agli eredi di Lazzaro da Viterbo di prestare a Narni e nel 1549 al medico Lazzaro di Abramo da Viterbo di aprire un banco feneratizio a Narni e Amelia.

Nel 1528 il comune di Narni fece ricorso al prestito ebraico in seguito alla grave crisi interna causata dal sacco dei lanzichenecchi dell'estate 1527, sottoscrivendo un capitolato con i fratelli Elia e Meluccio da Pitigliano.

Nel 1551 tale Simone di Manuele da Narni era membro di una società per la vendita di abiti usati o stracciaria.

1557 – Maestro Elia ebreo si presenta davanti agli Anziani di Amelia ed esibisce un istrumento in favore ipsius rogato da Tullio Lupo, notaio di Roma, il 10 gennaio 1557, con il quale era stata verbalizzata una dichiarazione resa da testimoni all'uditore del cardinale Saraceno, protettore  della Arciconfraternita dei Catacumeni, che recita fra l'altro: “Universitatem hebreorum civitatis Amerie non esse perturbandam neque molestandam ad solutionem decem ducatorum pro sinagoga fienda”, che l'università degli ebrei della città di Amelia non debba venir sollecitata ne' molestata con la richiesta di pagamento di dieci ducati per la costruzione  di una sinagoga in quanto: “consta in dicta civitate non fusse necesse a quatuor annis infra”, risulta che, in detta città, da oltre quattro anni, tale necessità non venisse sentita.
Dagli Statuti di Amelia.

Se si esamina la tabella dei processi intentati  nei confronti degli ebrei di Perugia e dell'Umbria e dei reati loro contestati nel periodo dal 1320 al 1520 si nota che il 55% degli stessi (105 su 190 casi rilevati) è concentrato nella seconda metà del Quattrocento, negli anni immediatamente precedenti e soprattutto a quelli successivi alla creazione dei Monti di Pietà.

Negli anni '70-'80 del Quattrocento si registra in Italia, nei confronti degli ebrei, un inasprimento delle condizioni, che non riguarda soltanto il prestito, ma anche i diritti concordati nelle condotte, si arriva alla lotta degli Osservanti alla carne kasher, cioè al diritto degli ebrei di cibarsi di carne kasher, e siccome il diritto è tutelato dalle condotte, la polemica francescana si rivolge ai cristiani vietando loro di consumare carni e vino che sono stati preparati per gli ebrei. Di fatto i macellai, per mantenere il prezzo della carne uguale per ebrei e non ebrei, praticamente usavano vendere la carne macellata secondo il rito ebraico anche alla popolazione cristiana. Alla fine del Quattrocento si assiste a predicazioni di Osservanti tendenti ad eliminare questo diritto degli ebrei ad avere carne allo stesso prezzo dei cristiani, diritto che a Norcia viene vietato totalmente.
Da: “Il mondo ebraico” - TODESCHINI-ZORATTINI.

Nella seconda metà del XV secolo, nel corso delle sue numerose legazioni umbre il cardinale Berardo Eroli riuscì più volte ad imporre la propria volontà: a questo proposito si può ricordare la battaglia intrapresa a Perugia per difendere la comunità ebraica durante la fondazione del Monte di Pietà, nel corso della quale riuscì ad ottenere l'annullamento della decisione di far versare agli ebrei un prestito obbligatorio di 2000 fiorini.
Da: “Museo della città in palazzo Eroli a Narni”

Questa vera e propria disseminazione di microcomunità ebraiche entrerà in crisi quando il bisogno di liquidità delle città diminuirà e quando la predicazione francescana alimenterà una forte ostilità antiebraica, determinando un aumento della pressione verso la conversione.
A partire dalla seconda metà del XVI secolo gli ebrei furono espulsi da quasi tutte le città d'Italia.
Nel 1559 papa Paolo IV inasprì le disposizioni vessatorie contro gli ebrei e ne richiese una rigorosa applicazione: obbligo di risiedere in un quartiere separato, il ghetto, circondato da mura, che doveva essere chiuso durante la notte, divieto di possedere beni fondiari, di esercitare professioni, di lavorare nei giorni di festività cristiana. Inoltre fu loro imposto il segno distintivo, la rotella o il berretto gialli.
La bolla di Pio V del 1569  “Hebreorum gens” sancirà l'espulsione degli ebrei dallo Stato Pontificio, tranne che da Roma e Ancona.

E' proprio da un ebreo di Ancona che, secondo le Riformanze di Narni, Giacomo Filippo Arca fa sapere che si potrà comprare grano per la comunità, nel 1591, anno di grande carestia.

Nel 1629 il Rabbi della sinagoga di Castro era Simone da Narni.

E' dopo la prima metà del '700 che diventano numerosi i casi in cui  gli ebrei chiedevano il permesso di fermarsi nelle città  per almeno tre giorni e questo accadeva quasi sempre in concomitanza di feste o fiere. Non mancano anche richieste di poter viaggiare senza distintivo.
La possibilità di permanenza in una città era, se non sempre, spesso incerta, infatti gli ebrei erano costretti a chiedere il permesso, che veniva concesso per due o sei mesi, al termine dei quali dovevano allontanarsi, anche se non mancavano i compromessi.
Gli ebrei dovevano rivolgersi alla suprema Inquisizione per la richiesta del permesso di soggiornare nelle diverse città, così gli ebrei che risiedevano a Terni dovevano recarsi ogni due mesi presso il tribunale della Santa Inquisizione di Spoleto per ottenere il permesso di soggiornare in città.

1736 – Carteggio fra il vescovo e l'inquisitore di Narni in merito alle competenze per la carcerazione di alcuni ebrei che si erano trattenuti alla fiera oltre il tempo stabilito.

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