Home

uk.gif (951 byte)

 Teatro a Narni

Impresari e artisti teatrali  Narnesi
 tra ottocento e novecento

Teatro Valle  Roma

Un aspetto particolare della cultura italiana è legato al teatro ed all’opera lirica, e Narni ha avuto una parte importante in tale settore avendo impresari teatrali importanti ed una serie di artisti che hanno avuto un buon successo a livello nazionale e locale.
Tra essi va citato Giovanni Paterni (1779-1837) da Narni, impresario importante che fece la fortuna di Donizetti ed ebbe contatti con Rossini e importanti cantanti lirici come la Malibran e il celeberrimo tenore Rubini, chiamato da Parigi a Roma per cantare al teatro Valle.


Oltre al Paterni dobbiamo ricordare il pittore e tenore Francesco Diofebi, che nello stesso periodo fa fortuna a Roma, tenendo contatti con Donizetti e Thorvaldsen. Sempre nelle nostre zone, a Terni il Belli che viene ricordato anche in una casa nei pressi di via Cavour, prenderà moglie. Il Belli parlerà spesso nei suoi sonetti dell’Impresario Paterni, spesso in modo dispregiativo e molto sarcastico. Non dobbiamo dimenticare che il teatro di Narni fu costruito pochi anni dopo la morte del Paterni, intorno al 1850, poi nel 1890 nasce la grande amicizia tra Capuana e la giovane narnese   Adelaide Bernardini che poi avrà una lunga disputa con Pirandello.

Adelaide Bernardini
 Ad inizi del 1900 abbiamo un altro impresario teatrale Narnese Aiuto Fortunati che in breve tempo costruisce la sua fortuna, acquisendo anche il grande stabile tra via xx settembre e piazza Garibaldi.

Aiuto Fortunati 1857-1926
Dai racconti di famiglia, si parlava spesso della fortuna accumulata dall’impresario Fortunati che si poteva permette di girare con un calessino trainato da cavalli e che a Roma allestiva opere ed operette, con cantanti liriche e sciantose.
Vi sono poi donne importanti come Nera Marmora, che a Terni vive e da cui parte per la sua carriera nome d'arte di Gina Palmucci (Terni, 3 giugno 1891 – Roma, 15 aprile 1924), è stata un soprano italiano molto importante che conobbe Beniamino Gigli e cantò nell'aprile 1917 insieme alla compagnia artistica Impresa Da Rosa-Mocchi si imbarco sul piroscafo spagnolo Leone XIII, per recarsi in Sud America per fare una tournee. Attraversarono l'oceano Atlantico per 36 giorni temendo l'attacco dei sommergibili tedeschi. Le prime date ci furono in Argentina assieme ad Enrico Caruso.
Altro personaggio non trascurabile e poi la nostra concittadina di Borgheria, Fosca Umbra, tanto importante che lo stesso Mussolini si fermò nella sua locanda.
Tra i Tenori importanti non va poi trascurato Alvinio Misciano che in questi ultimi periodi è stato ampiamente ricordato a Narni.



Giovanni Paterni (1779-1837)


Teatro delle Dame

“Il 14 dicembre 1819 l’impresario Giovanni Paterni richiede la privativa dei teatri e spettacoli di Roma per sei anni a principiare dalla primavera 1820, offrendo in dono al Governo, per i musei vaticani, duecento vasi etruschi, cinque quadri in muro, una cerva in metallo e una cesta mistica antica”.

Teatro Alibert
Il teatro romano “Alibert”, conosciuto anche come “Teatro delle Dame”, era stato costruito dal conte Antonio Alibert e, dopo un periodo iniziale sotto il patronato del Sovrano Ordine di Malta, venne dato in affitto a diversi impresari finché non “cadde nelle mani” di un certo Giovanni Paterni, ricco mercante di vini e alcolici, che aveva reputazione di spilorcio. Egli cercava di spendere il meno possibile per le sue produzioni.

Nel 1820 il giovane Gioacchino Rossini sceglie di accettare l’offerta di Giovanni Torlonia per lavorare a Roma, declinando quella di Giovanni Paterni, al quale scrive: “Non le ho risposto fino ad ora poiché essendo io in trattato col sig.r duca Torlonia pel suo teatro non le avrei dato che una risposta vaga; ora che sono col sig.r Torlonia scritturato le dico non potere per conseguenza accettare la sua gentile offerta pel prossimo carnevale”.

Nel dicembre 1820 viene stipulato a Firenze il contratto tra Paterni e il musicista Mayerbeer per l’opera “L’Almanzore”.


Teatro Argentina

Nella primavera del 1821 l’impresario Giovanni Paterni voleva impegnare il musicista tedesco Simone Mayr per scrivere un’opera nuova da rappresentare al teatro Argentina di Roma nella prossima stagione di Carnevale, ma il compositore accampò la scusa degli acciacchi della vecchiaia (aveva 60 anni) per rifiutare, e propose di scritturare al suo posto Donizetti. L’impresario accettò e il 17 giugno fu firmata la scrittura, col compenso di 500 scudi romani.

Donizetti

Donizetti chiudeva il 1822 con la sottoscrizione di un nuovo impegno col Paterni, una riedizione della “Zoraide” e un’opera buffa per il teatro Valle.
Il Mercadante viene informato del successo conseguito all’Argentina dal Donizetti con “Zoraida di Granata”, rappresentata il 28 gennaio 1822, e che aprì all’autore la strada della trionfale carriera.
Mercadante il 28 febbraio, da Venezia, scrive ad un’amica a Roma: “Per ora non v’è nessuna probabilità ch’io venga a comporre in Roma, giacché il sig. Paterni poca voglia ha di pagarmi”.

I rapporti tra il marchese Capranica, proprietario del teatro Valle, e il suo impresario Giovanni Paterni dovevano, negli anni 1822-24, andare al di là di un normale rapporto tra proprietario e affittuario, ad esempio nell’estate 1824 Paterni inviava da Napoli al Capranica un resoconto delle trattative con Barbaja per scritturare il tenore David.
Per l’inaugurazione del rinnovato teatro Valle, nel  1822, l’impresario Paterni trasportò sulle nuove scene tutta intera la compagnia lirica di cui si era servito in autunno al teatro Argentina; anche la compagnia comica che recitava le commedie tra un atto e l’altro dei melodrammi fu la stessa, quella Modena e Venier.
Gli affari teatrali erano però sempre al centro dell'interesse per Bartolomeo
Capranica: nello stipulare finalmente - il 31 ottobre 1829 - un nuovo contratto di affitto del suo teatro Valle, con l'impresario Paterni, il marchese vi inseriva alcuni articoli che configuravano un suo coinvolgimento nella conduzione dell'impresa.  Per il 1830 la documentazione relativa al teatro Valle conservata nelle carte di Capranica si limita tuttavia alle trattative del marchese per avere, tramite Barbaja e Ricordi, lo spartito di Bianca e Faùero di Rossini, che venne rappresentata al Valle il 3 luglio 1830: per la messinscena di quest'opera rossiniana, che arrivava a Roma per la prima volta dopo più di dieci anni. Nel 1829 Capranica stipula un nuovo contratto d’affitto del suo teatro Valle con l’impresario Paterni.  dalla prima, Capranica si premurò di ottenere da Barbaja «lo spartito originale cioè con tutti gli identici pezzi di musica, come lo compose Rossini in Milano, essendo io contrario alle intrusioni di arie, duetti, eco di altri maestri, come  è ora di moda»


Nel 1830 l’impresario Paterni ottenne la privativa sessennale per l’opera seria con balli, a partire dal carnevale 1831.
Piovoso e ricco di manifestazioni temporalesche fu a Roma il 1826: da aprile a luglio mai una giornata serena. Nè agosto si portò meglio. Anzi una sua pioggerella contribuì al disastro così registrato nell’inedito diario del principe Agostino Chigi: “Lunedì 28, agosto 1826 - ...oggi all’anfiteatro Correa, mentre si stendeva il velario per lo spettacolo della giostra, circa le 3 pomeridiane, è precipitata tutta l’armatura del velario medesimo… ...si dice che il peso straordinario della tenda, inzuppata dalla pioggia venuta, abbia prodotta o accelerata la disgrazia, quale se fosse accaduta un’ora e ½ dopo avrebbe prodotto una strage immensa, atteso il concorso per la giostra, la quale non si è fatta”.


Domenica 3 settembre: “Il sig. Paterni, impresario dell’anfiteatro Corea, voleva fare questa sera i fochetti, ma dopo la disgrazia accadutavi lunedì scorso colla caduta del velario, il papa non ha voluto che per quest’anno se ne facesse altro. Sono stati mandati degli altri architetti per esaminare le cause di questa caduta, e hanno deciso che i travi erano troppo poco entrati nel muro… ...perciò è sentimento generale che vadino castigati gli architetti che non l’esaminarono bene la prima volta”.

Un’inchiesta si concluse rapidamente con una condanna collettiva, il Paterni fu condannato a risarcire la famiglia di un operaio morto nell’incidente con gli incassi dello spettacolo del 17 settembre e 100 scudi l’anno a beneficio dell’ospedale di S.Galla per tutta la durata dell’affitto dell’anfiteatro Correa.
Il velario del teatro Correa era stato da poco costruito, nello stesso 1826, dall’architetto Valadier.



Su una stampa celebrativa, rappresentante il teatro, era scritto: “Rome, 1826 – Dessinè et dèdiè a M. Jean Paterni par Louis Marie Valadier fils”.


Gioacchino Belli

Da una lettera di Giuseppe Gioacchino Belli alla duchessa Matilde Roberti Solari di Loreto, 1826: “Questo messer Giovanni Paterni, uomo sufficientemente asinario, nato in maledicta Narnia, trasportato qui dal tempo cattivo e salito a grado di molto seguito e dipendenza; quest’uomo, rispettabile portatore di enormi brillanti sullo sparato imbuculare; quest’onestissimo gabelliere di bolli da pesi  e misure; questo delicatissimo dispensator di bocconi, o imbeccature, o strozzi che siano, quest’onorato impresario mercatante di corna e faville nelle giostre e pirotecniche veglie romane; a mal grado dell’introdotto velario nel mausoleo di Cesare Augusto, luogo destinato al cornificio diurno ed ai notturni sfavillamenti con fiacca imitazione benchè gentile dell’antico velario Flavio; scarso profitto ricavava dall’aumentato prezzo d’ingresso al doppio spettacolo. Fertile di trovate, come sagace consecutore di scopi, immaginò tre conventi di romani al suo anfiteatro per giocarci tre partite ossia farci tre tombole in tre consecutive domeniche; utile speculazione per lui, perché del suo non rimetteva, come si suol dire, che le cazzeruole.
Ottenuto il permesso dalla Segreteria di Stato, immaginati i modi, fatte le stampe, lavorata l’urna, bollate le cartelle e distribuite, affissi i manifesti e messo il grembiule dell’opera, eccoti sabato mattina un pontificio divieto ed eccoti fumo dove aspettavasi arrosto. Si sta ora in sui compensi: e il chiedere e il negare fanno insieme un sapore terzo, come d’olio e d’aceto…”.

Dopo una rappresentazione della “Norma”, nel 1831, il giornale “Lo spigolatore” scriveva: “Bravo Paterni! Finalmente o avete voluto o avete saputo spendere”.

1830: “Siamo autorizzati che il giorno 18 marzo il Governo di Roma ha accordato la privativa dei teatri di quella capitale al signor Giovanni Paterni come uomo solido ed intelligente”.
Da: “Cenni storici intorno alle lettere invenzioni, arti e commercio e spettacoli teatrali per l’anno 1830 al 1831”.


Teatro Valle
Con una scrittura privata, rogata da un notaio, del 14 giugno 1832: “...il sig. m.ro Gaetano Donizetti si obbliga a favore del sig. Giovanni Paterni, impresario del Teatro Valle di Roma, di scrivere, e comporre e vestire un libretto in musica per opera semi-seria, quale sarà composto dal sig. Giacomo Ferretti portante per titolo “Il furioso all’isola di S.Domingo” e ciò per la futura stagione di carnevale 1832 in 1833...”

1832: “Il signor Giovanni Paterni sempre intento a servire il colto pubblico romano ha fissato la cantante, signora Teresa Menghini, come altra prima donna assoluta al teatro Valle per il secondo spartito “Ricciardo” e “Zoraide” di Rossini, che andrà in scena nella corrente primavera e vi canteranno l’Angiolini per primo contralto e Dossi basso eseguendo la parte scritta per Nozzari”.

Teatro Valle  Roma

1833: “L’impresa del teatro Valle di Roma, condotta già da molti anni dal signor Giovanni Paterni fa dei sforzi che sono indicibili per attirare in Roma i più distinti virtuosi di canto. L’enorme somma accordata, non ha guari, per sei sole recite a madama Malibran danno un’idea ben grande del coraggio del detto signor Paterni. Ora sappiamo ch’egli ha scritturato il celeberrimo tenore Rubini per la prossima primavera e che ha dovuto darle una vistosa somma per indurlo a trasferirsi da Parigi a Roma in breve tempo, ed all’epoca precisa che cominciano le recite al detto teatro Valle. Auguriamo al signor Paterni quella fortuna che merita ogni uomo che intraprende con tanto coraggio simili impegni e ci lusinghiamo che il pubblico romano gliene sarà grato e memore”.
Da: “Cenni storici intorno alle lettere invenzioni, arti e commercio e spettacoli teatrali per l’anno 1832 al 1833”.
La Malibran accettò di cantare “L’Otello” per il Paterni con il compenso, esorbitante, di 1000 franchi per ciascuna delle sei sere, motivato dalla grande fama della diva, che non lasciò minimamente deluse le attese degli ammiratori.


“Giovanni Paterni impresario del teatro Valle in Roma, nel carnevale del corrente anno 1833 fece scrivere un melo-dramma eroico-comico intitolato “Il furioso” le cui parole furono opera del sig. Giacomo Ferretti e la musica del tanto celebre Gaetano Donizetti. L’originale spartito di questo fortunatissimo melo-dramma è rimasto sempre gelosamente guardato dal legittimo ed unico proprietario Giovanni Paterni”.
Da: “Diario di Roma, 1833”.


Gioacchino Belli casa in via Frattini


Gioacchino Belli casa, lapide a Terni

Stroncone e gli artisti romani

Giuseppe Gioachino Belli (che sposerà Maria Conti di Terni), amico fraterno del Delfini, cita la famiglia dei Delfini di Stroncone,  in numerose lettere indirizzate al figlio Ciro, il quale sposerà la figlia del grande Librettista Jacopo Ferretti: Cristina Ferretti.  

Tutti questi personaggi passavano la loro villeggiatura in quel di Stroncone, e addirittura anche in periodi invernali, non proprio turistici, come il novembre del 1852. Jacopo Ferretti, fu librettista per i più grandi compositori del periodo: Gaetano Donizetti, Rossini, ecc...  Jacopo Ferretti, amico del Delfini, depositerà presso il suddetto Notaio Delfini, alla presenza del Belli ecc..., il proprio Testamento.  Domenico Biagini, assieme al Ferretti e al Belli, fondarono l'Accademia Tiberina. E tutti questi letterati venivano in vacanza a Stroncone, nella prima meta' del 1800; creando un'atmosfera letteraria di grande rilevanza.   il Notaio Alessandro Delfini, morto nel 1855 , fu protagonista di una stagione letteraria non indifferente. Appartenne all'Accademia Tiberina (costola dell'Accademia Ellenica); ed entrò in contatto, in amicizia e in parentela con gli esponenti della cultura romana del periodo, come i Poeti  Giuseppe Gioachino Belli e Domenico Biagini, nonché col famoso Librettista Giacomo o Jacopo Ferretti. 

Librettista Giacomo Ferretti

Gioachino Belli registrava i suoi sonetti dal Notaio Delfini.  Poi il Salvati cita e frequenta una certa zoppa Paterni di Narni, che gestiva un tavolo di gioco d'azzardo a piazza di Spagna(zona franca per tale vizi, sotto la giurisdizione della Spagna). Come citato nel libro "SETTECENTO PRIVATO - MEMORIE DI DON DOMENICO SALVATI (1741-1818)" di  Carlo  Campili.

“Li sonetti de primavera”


Un ultimo sonetto “donizettiano” del Belli: “Li sonetti de primavera” è del 1834, il poeta vi trasferisce l’eco di una sciagurata messa in scena dello “Elisir d’amore” al teatro Valle; di quel capolavoro, affidato a mediocri cantanti, l’impresario Paterni fece scempio: fu tale lo scandalo che quattro giorni dopo il Governatore emetteva un avviso con il quale ordinava la chiusura del teatro fino a che il Paterni non avesse presentato uno spettacolo meno indecente: “Bbasta ddì cch’er governo ha ssopportate quattro sere de rajji de somari eppò ha ddetto a Ppaterni: Oh ariserrate”.
Il principe Agostino Chigi scriveva nel suo diario: “I fischj e gli urli diretti particolarmente contro l’impresario Paterni sono stati tali da non rammentarne forse simili”.
Nel marzo 1829 Giovanni Paterni, originario di Narni, vende la tenuta di Falerii al conte Antonio Lozano, i due si accordano per compiere insieme delle ricerche archeologiche.


Il Belli gli indirizzò un sonetto il primo gennaio 1835: “Dove, Giovanni mio, ti sei pescati i tuoi bravi Carrari e Zuabetti con que’ loro codazzi di suggetti, buoni a mostrar le marionette ai frati?
Il donde pe’ i nostri miseri palati cacciasti un tal rabarbaro in confetti che ci dobbiamo succhiare a denti stretti in penitenza de li tuoi peccati? Come ti nacque idea, boia mal-pratico, d’infettarci d’un comico sozzume cui la sorte scopava oltre l’Adriatico. Ah Giovanni, da te mai si presume d’annoiarci col tuo stuolo antipatico. Venner da Fiume? Eh li rimanda a fiume”.
Dalla poesia del Belli “Er còllera moribbus”, del 1835: “Nun ve pozzo negà cc’ar zor Paterno ie fa er culo un tantin de lippe-lappe, io però ddico che cce vince un terno”.

Il cardinale Giuseppe Albani, per compiacere un musicista al suo servizio, impose quasi autorevolmente all’impresario Paterni di rappresentare il melodramma, di scarso valore, “Testa di bronzo” e per questo il Belli, in una sua poesia del 1835, scrisse: “Inzino er zor Giuvanni l’impressario si lui je straccia l’apica, o ssi mmore, je voria rigalà mmezzo salario”.
Da: “Giuseppe Gioacchino Belli, tutti i sonetti romaneschi”.

 Il 14 febbraio 1835 andò in scena la “Pazza per amore”, di Jacopo Ferretti e musica di Pietro Antonio coppola, con un successo che superò le più rosee aspettative. Nei teatri minori la possibilità di disporre di maestranze corali veniva spesso negata: convinto Ferretti della necessità di impiegare un coro femminile per la nuova opera, il Coppola otterrà successivamente da Giovanni Paterni, allora impresario del teatro Valle di Roma, la scrittura di sei coriste già impegnate all’Argentina, da impiegare espressamente nella “Pazza per amore”.
Da: “Ferretti, Coppola e l’opera semiseria. Il caso de “La pazza per amore” – RUSSO.

Fosca Umbra


Interessante anche la storia di Fosca Umbra , soubrette degli anni Venti la cui fama aveva raggiunto livelli nazionali. Dopo aver calcato i teatri più famosi dell’epoca si ritirò a Narni dove apri una locanda con trattoria riaperta pochi anni fa dai parenti.



Bussoletti Angela in arte " FOSCA UMBRA " Soubrette dei primi del novecento. Nata a Narni, i suoi discendenti, gestiscono un locale denominato con il nome d' arte della nonna.


L’attività che risale al 1938 quando Fosca Umbra, terminata la propria carriera nel mondo dello spettacolo, decise di intraprendere un'attività di ristorazione rilevando una proprietà dei "Nobili Squarcini" di Amelia. All'epoca il suo nome era talmente celebre che in occasione dell'inaugurazione della Strada tiberina il Duce, allora Capo del Governo, decise di fermarsi per portare il suo personale saluto a fosca Umbra.

Nera Marmora

La fine dell’Ottocento è l’epoca d’oro delle belle voci. Tra queste ve ne era anche una di origine umbra e con successivi stretti rapporti con Todi. Cantò nei più importanti teatri italiani ma anche in Sudamerica, in particolare in Argentina, Brasile e Cile, con tournée favolose e trasferimenti avventurosi. Tra il materiale conservato dai suoi eredi figurano apprezzamenti autografi dei più grandi compositori dell’epoca, tra cui quello di Giacomo Puccini: “Alla distinta artista Signorina Marmora brava interprete di Mimì” (Orbetello, 1920).
Si chiamava Gina Palmucci, che poi in arte assumerà il nome di Nera Marmora. Nata a Terni da una famiglia benestante, si diplomerà maestra elementare. Ma ama cantare, la sua passione è il canto. Musicalità innata, una perfetta intonazione. “Temperamento estroverso, simpatico, sicuro, decide di incamminarsi per il difficile sentiero dell’arte“. Studierà con la contessa Ida Tanfani Bianchini Riccardi, già valente artista.
Gina studia poi, per due anni, all’Accademia di Santa Cecilia a Roma, sotto la direzione di maestri quali Fanny Toresella e Antonio Cotogni, e di Laura Dondini, quale maestra di scena.
Nel giugno del 1914 hanno luogo a Santa Cecilia i saggi dei diplomati. “Al Terzo saggio a Santa Cecilia grande affluenza di pubblico ieri anche perchè si era sparsa la voce che vi sarebbe intervenuta la Regina Margherita (…). Nel canto ammiratissima la signorina Gina Palmucci che ad una bellissima voce accoppia una fine dizione artistica” (Il Messaggero, 18 giugno 1914). In quello stesso saggio canta anche un promettente tenore: Beniamino Gigli.
A novembre dello stesso anno Gina Palmucci, che nel frattempo ha assunto il nome di Nera Marmora, debutta in “Traviata” al Teatro Dauno di Foggia. E’ subito successo, come sottolineano i giornali dell’epoca. Inizia così la sua fulgente carriera artistica. Nel 1915 è Gilda nel verdiano “Rigoletto” sempre in Puglia. E’ Nedda al Giglio di Lucca, e Mimì al Guglielmi di Civitavecchia. Poi è Albinia ne “Il carnevale di Venezia” di Petrella al Teatro Quirino di Roma, e Rosaura ne “Le donne curiose” di Wolf-Ferrari.
Gli anni che seguono sono fitti di date, teatri prestigiosi (tra cui il San Carlo di Napoli), con opere che la vedono cantare a fianco, tra l’altro, di Fernando De Lucia, uno dei massimi tenori di ogni tempo nel mondo. Per lei i critici stravedono: “Quell’adorabile Suzel che è Nera Marmora cantò con una rara squisitezza, dando al quadro idilliaco dell’opera la splendida primavera della sua voce freschissima, la stupenda quadratura del suo canto, la tenera poesia ch’ella imprime al sentimento della sua parte. La deliziosa Suzel, l’ideale Suzel, pienamente all’altezza del divo Fernando De Lucia, condivise con lui il grande trionfo” (Il Mattino, 25 febbraio 1917).

Il 1917 sarà anche l’anno della sua tournée sudamericana, che comporterà una traversata di 36 giorni, con l’Oceano infestato peraltro dai sommergibili tedeschi. Nera Marmora fa parte della “mirabile Compagnia artistica “Impresa Da Rosa-Mocchi”, composta da nomi altisonanti, tra cui, uno per tutti, quello di Enrico Caruso. La stagione viene inaugurata il 22 maggio con “Il cavaliere della rosa” di Strauss. “Quella fu forse la migliore stagione di quante ne aveva viste il Sud America”, ricorda nel suo libro la figlia del direttore d’orchestra Gino Marinuzzi.
Nera Marmora è Sofia ne “Il cavaliere della rosa”, Lisette ne “La rondine”, Helmwige ne “La walkiria”; ed è Adina ne “L’eliser d’amore” con Caruso, e Nedda nei “Pagliacci” sempre con Caruso, e Musetta ne “La bohéme” ancora con Caruso. A fine agosto la Compagnia di sposta in Cile, traversando i valichi andini a dorso di mulo, come allora si era costretti a fare. Al Teatro Municipal di Santiago del Cile, Nera Marmora canta ne “Il segreto di Susanna”, “Il matrimonio segreto” e “Rigoletto”. Il giornale “La Opionion” scrive “Fué ovacionata”. Erano passati appena tre anni dal suo debutto.

Gli anni che vanno dal 1918 al 1922 sono straordinariamente intensi. Non c’è importante Teatro italiano e opera che non la veda protagonista. Ovunque è un successo, con i giornali che utilizzano per lei aggettivazioni mirabolanti. Una tappa, oltre che a Terni, sua città natale, Nera Marmora la farà anche a Todi, dove in un Teatro Comunale “letteralmente gremito di pubblico imponente”, sarà Mimì.
L’attività artistica si concluderà nel 1923, con le interpretazioni al Verdi di Trieste. Nera Marmora è, in pienezza di vita giovanile, nel fulgore della sua arte. Interprete altamente apprezzata e ambita da compositori che si chiamano Puccini, Cilea, Zandonai… Il suo repertorio, oltre alle tante opere già eseguite, comprende, come ci dimostrano i suoi spartiti, Faust, Gioconda, Mignon, Otello, Madama Butterlfly, Manon Lescaut, Tosca, Trittico, Conchita, Franscesca da Rimini, Il grillo del focolare, Cavalleria Rusticana, Il piccolo Marat…

Nel 1923 Nera Marmora si sposa con Cesare Paparini, di nota famiglia tuderte. Va ad abitare a Roma, alle volte anche nel palazzo di Todi, o nel castello della proprietà agricola alle Morruzze. Nell’aprile del 1924 dà alla luce, prematuramente, una bambina, Maria Luisa. A seguito di complicazioni sopravvenute, muore a Roma il 15 aprile 1924. A lei è dedicato il libro “Il soprano nera Marmora” di Bruno Cagnoli (Il Formichiere, edito nel 2016, 204 pagine).

Francesco Diofebi
Cantante
Francesco Diofebi (1781 - 1851)

Non è passato molto tempo prima che quando venivo in alcune case dove c'erano giovani che si divertivano a cantare, per non fare una figura stupida, mi davo a studiare musica con un maestro Manzoli, che è ancora vivo, e ci sono riuscito davvero bene;

così quando il padre del maestro Valentetti è venuto a Roma per formare una compagnia per il teatro a Narni, ha voluto ascoltarmi, e subito mi ha adottato come primo tenore e mi ha portato lì, da dove sono venuto a Terni, poi a Spoleto, a Perugia e ad Assisi . Sono stato poi chiamato a Firenze, ma mia moglie non ci andava per amore dei due figli che già avevo, così sono tornato a Roma, dove, ancora come primo tenore, ho cantato tre volte al teatro Valle, una volta come primo tenore al teatro bordinone e due volte come secondo tenore con il celebre david al teatro argentina.

Nel 1816 sono entrato nel coro di San Pietro, ma quando ero stanco e spesso assente, ho dovuto smettere dopo due anni e mezzo. Nel 1820 sono entrato a far parte del coro di S. Maria Maggiore, e lì ho lavorato per ventidue anni e mi sono guadagnato un'ottima reputazione.

E dopo la mia sfortunata malattia  ero in pensione, cosa che sono ancora; e ho cantato in tutte le chiese di Roma, con mio grande onore e soddisfazione.

Si ringrazia
Rodolfo Ciuffoletti
per le notizie su  Paterni

vedi anche :
Francesco Diofebi

Adelaide Bernardini

Alvinio Misciano

Grand Tour

Asprilio Pacelli

Felice Anerio e famiglia

Agostino Locci

Francesco Buti

 

 


 

n_rocca.gif (40459 byte)
n_rocca.gif (40459 byte)
n_rocca.gif (40459 byte)
n_rocca.gif (40459 byte)


© Narnia site is maintained by fans and is in no way connected to Walden Media,
Walt Disney Pictures, or the C.S. Lewis Estate.
All copyrights are held by their respective owners.
The Narnia italian logo and page design are copyright © 2003-2006.