Home

La Famiglia Cardoli

a Narni

fircardoli.jpg (85742 byte)

Stemma di famiglia al museo del Bargello di Firenze

 

 

 
 
 

Cardoli famiglia Narnese

 La gente dei Cardoli, oriunda, come si crede, della Germania, e discesa dal sangue de' Longobardi , fu barone delle Coppe, di Torricella Lugnola Monte e Balduino castelli situati nel territorio narnese, de' quali furon distrutti Torricella Monte e Balduino. Essa gente diede a luce molti esquisiti personaggi chiari non tanto per le armi, per le lettere e scienze, quanto per le dignità ecclesiastiche e civili. Tra quelli è singolarmente degno di menzione Francesco Cardoli virtuoso oratore storico poeta e diplomatico, del quale mi propongo dir qui poche parole.

cardolin5.jpg (86963 byte)

Palazzo Cardoli a Narni

Furono Senatori a Roma durante il periodo papale

Biagio Cardoli 1348

Vittorio Cardoli 1441

Pietro Cesi 1463

Egidio Angelo Arca 1488

Massimo Arca 1522

Ludovico Arca 1591

Furono Ambasciatori del papa

Bernardo Cardoli inviato da Giulio II in Boemia ed Ungheria

Nel 1511 come Nunzio Apostolico . sotto Leone X fu commissaario pe concludere la pace tra Fano e Fermo e la santa sede.

Francesco Cardoli , fratello di Bernardo , fu ambascaitore presso le repubbliche di Firenze e Siena e presso il re di Francia 1502.

Di lui si dice che potesse leggere un libro e subito ripeterlo ricordandolo a memoria e

Potendolo ripetere anche dall’ultima parola alla prima.

Fabano Arca fu legato pontificio presso la repubblica di Siena 1440 di Spoleto 1442 e

Di Venezia nel 1458.

 

Tratto dal Collosi archivio comunale .

cardolin1.jpg (71780 byte)

Casa Cardoli a Narni

Franceschina Cardoli 

fra le figlie del Gattamelata ritroviamo a Narni Antonia Gattamelata che si sposerà Lancellotto Cardoli di Lucantonio Cardoli. da cui discenderà poi

Franceschina CARDOLI

franceschina

 

Capitani del Popolo

Narnesi a Firenze

91- Vettorius Iohannis de Cardolis

de Calvi de Narnea. 28 luglio 1415 – 27 gennaio 1416

106- Niccolaus Blaxii

de Masseis de Narnea. 28 giugno 1422 – 11 gennaio 1423

116- Gentilis Vettorii

de Cardolis de Narni. 9 marzo 1427 – 8 settembre 1427

150- Gentilis Vettorii

de Cardolis

de Narnea. 24 febbraio 1448 – 23 agosto 1448

153- Iohannes Niccolai

de Masseis de Narnea. 24 agosto 1449 – 23 febbraio 1450

179- Petrus de Catanis sive

de Ghisanis de Cesis

civis Narniensis. 16 maggio – 15 novembre 1464

16 novembre 1464 – 15 maggio 1465 16 maggio 1465 – 9 gennaio 1466

 

Stemma Cardoli a Narni

FULVIO CARDOLI GESUITA

CON APPENDICE DI DUE SUOI SCRITTI

Non dubito affermare che uno de' primi e più forti ingegni di Narni sia stato Fulvio Cardoli Gesuita vissuto nel secolo XVI. Egli nacque da Dionisio e Agnese Cardoli nel 1526. poch' anni dopo la morte del suo famoso antenato Francesco, di cui demmo innanzi la vita. Forse la somma fama di quest' uomo misegli nell" animo un gran desiderio degli stud'i e della gloria, posciachè nulla così giova a piantar buoni germi nel cuore e nella mente de' fanciulli, e stimolarli a ben fare, come i domestici esempi. Vedendo i genitori la buona natura e la squisita mente di Fulvio, piuttosto che tenerselo in casa, dove facilmente non sarebbe a nulla riuscito, si consigliarono mandarlo in Padova a cura de' PP. Gesuiti. Queste sono le scarse notizie che potei raccorre sulla vita e sulla Opere del P. Fulvio, il quale morì a Roma, con ufficio di Operano, nella casa de' Professi il 5 maggio del 1591 in età di anni 65.

cardolisdomenico.gif (7443 byte)

chiesa di san Domenico

Nella chiesa di San Domenico troviamo la tomba di Andrea Cardoli morto nel 1665 che come ricorda la lapide posta nella tomba istituì la biblioteca pubblica della città di Narni .

Troviamo inoltre nella tomba del Gattamelata una epigrafe di BALDOVINUS- CARDOLUS

Cappelle Laterali

Partendo dall’alto a destra della navata principale

Troviamo la cappella del Gattamelata

Cappella dedicata a San Pietro per terra giace ancora una pietra marmorea

Sepolcro di Erasmo Cardoli e Vincenza Cardoli anno 1604

In questa cappella c’era la statua era sopra l’altare .

Le succesive cappelle non vengono citate ma si dice che esse contenevano

Delle tele importanti una era la Madonna del rosario fatta dal Borbone

Jac. Borbonius figurabat anno 1611

Invece la prima cappella a destra di chi entra aveva una tela di S. Tommaso d’Aquino

Tale cappella fu fatta da Febo Cardoli come si vede ancora dalla scritta

In cima all’arco sull’esterno MDVIC ( 1594)

 

Sul lato opposto nella navata sinistra troviamo

Una madonna con bambino che eroli dice sia della stessa mano di un quadro fatto per gli scolopi.

La seconda cappella era dedicata a San Domenico e vi erano delle belle tele ora depredate

Sulla parete sinistra c’era una lapide in onore di Andrea Cardoli .

Andrea Cardoli monsignore e fondatore della

Prima biblioteca narnese la lapide del 1657 dice che mori’ a 65 anni.

La lapide fu posta dai fratelli Onofrio e Cardolo de Cardoli nel 1670

Vedi libro dell’Eroli

Chiese di Narni pag 270 e successive

Lapidi gattamelata

Ai lati della Tomba

 

…ELLO – HOC A – GATTAMELATA

NARN- VECTOR – IMPERATORE-URBIS PATAVII ALIAR

CIVITATIS –VENETAE – DITIONI ADAUTATOR – FODATO –DOTATUQ

La scritta è chiaramente dedicata a Gattamelata da Narni , imperatore

Di Padova città veneta

Da notare l’uso di un simbolo su molte lettere

Ed una piccola scritta che sembra successiva

Expertus in seconda riga prima di Imperatore

 cardolibaldovino.jpg (54839 byte)

Sul lato opposto

BALDOVINUS- CARDOLUS

NEPOS – VOVENSET OB

ILLIUS MEMORIA- IN – COMO

DIOREM – VENUSTIO REO

SALUT ANNO-SECTOVI

MILLI CIAI XBR

 

QUI SEMBRA logico parlare di Baldovino Cardoli nipote di Gattamelata

Che aveva fatto restaurare a sua memoria e poi si porta una data da leggere meglio ma sembra intorno al 1500 e qualcosa

La famiglia dei Cardoli era piu’ volte riportata anche in altre lapidi

Come ad esempio Andrea Cardoli monsignore e fondatore della

Prima biblioteca narnese la lapide del 1665 dice che mori’ a 65 anni.

Vedi libro dell’Eroli   Misc2 da pag 213

Chiese di Narni pag 270 e successive

 

Anche durante il risorgimento troviamo dei Cardoli a capo delle truppe garibaldine .

Come nel caso di Romolo Cardoli che nel 1867 è capitano della Campagna di Roma , conclusasi con la sconfitta di Montelibretti .

 

 

 cardolin3.jpg (78486 byte)

Cardoli famiglia

tratto dalla Miscellanea Eroli

Notizie di Francesco Cardoli

e sua gente

con due sue orazioni latine tradotte in volgare

 

A chi leggerà

Non credo far opera inutile, riproducendo con le stampe due orazioni Latine di Francesco Cardoli da Narni: I' una recitata ne' funerali del Cardinal Ardicino della Porta, l' altra nella Dieta Germanica, per indurre i Baroni e Massimiliano I. imperatore a prender le armi contra i Francesi e i Veneziani in favor di Ludovico Sforza Duca di Milano, spogliato dai medesimi del suo dominio e reso prigione.

Son desse in verità pregievoli assai, tanto per la materia che per Io stile; e la seconda in ispecie è bellissimo documento per la storia d'Italia. I contemporanei del Cardoli le cercarono con gran desiderio, le lessero con piacere infinito, e, levandole solennemente a cielo, dissero, che dopo le orazioni di M. Tullio non avevan nulla letto di più bello ed elegante. E noi posteri, ciò saputo, lasceremle in dimenticanza, manifestandoci in cotal modo meno sapienti degli avi nostri, e men solleciti delle nostre glorie? Ah! non sia mai. Che se oggi la lingua latina è vagheggiata e ben intesa da pochissimi, dispregiata e non saputa dai più, io provvidi all' intelligenza e al piacer di tutti col tradurle in volgare nella miglior forma che per me si potesse. Né soltanto a gloria del Cardoli, della mia patria, dell' Italia, e a giovamento della nostra istoria, e a diletto de' sapienti e degli altri io rido in luce le due prefate orazioni; ma eziandio per mondarle degli errori che veggonsi nella stampa fatta delle medesime, per cui in molti luoghi li stilli invano il cervello a frugarne il vero significato. In quella sopra Ardicino gli errori son veramente tre o quattro e di poco rilievo; in quella a favor dello Sforza non ne dico il numero e l'enormezza. Rispetto alla prima mi servii di un esemplare che mi mandò in dono il dolcissimo amico e celebrato archeologo Giancarlo Conestabile, e che rifar fece con molta cura dalle miscellanee dell' edizioni del sec XV che si conservano nella pubblica libreria di Perugia (1). Rispetto alla seconda ebbi sotto occhi tanto la stampa della Miscellanea del Baluzzi (2), quanto una copia fatta di mia mano del codice posseduto in Venezia dalla Marciana (3), e che fummi bene acconcio a correggere molti sbagli della Miscellanea Baluzziana. Ma siccome anche il codice non è senza sconciature, però vi posi del mio qualche ammenda; e nelle note al testo renderò di ognuna pienissima ragione. Voglio inoltre significare che mi presi l' arbitrio di levare alle parole tutte le abbreviature, e di ammodernare l' antica mal composta ortografia, affinchè più facile e grata ne riuscisse la lettura, più intelligibile e chiara la dizione. Ricevi dunque in grazia, o lettor mio benignissimo, le due orazioni tal quale piacquemi racconciarle e tradurle; e se per loro non sentirai diletto, non volermi più bene. Ma, prima di farti a leggere le medesime, non dispiacciati punto saper qualche cosa della vita, de' costumi e della nobilissima famiglia del nostro Cardoli.

1) Nella biblioteca volante del Cinelli, continuata dal Dottor Dionigi Andrea Sancassani, si nomina una stampa di questa orazione con siffatto titolo — Froncisci Cardali Narniensis Oratio in funere Reverendissimi Domini Ardicini Sccundi della Porta Card. Ifovariensis Episcopi Alariensis heri sui, habita ad R. R. Card. Anno Domini 1493 die septimo Februari-Mediolani apud ìlaeredes Chisulphos in 4. — Da queste parole può argomentarsi ebbe la stampa della biblioteca perugina sia diversa dalla milanese, perchè in quella non s'indica il luogo della tipografia, e nella sua intitolazione si ha meno parole. M'adoprai inutilmente per trovar l'edizione di Milano, la quale è pur citata dal Mittarelli negli annali de' Camaldolesi, e dal Ciacconio nelle vite dei pontefici e cardinali.

2) Il Mansi da Lucca, che ampliò la miscellanea di Stefano Baluzzi, diè in luce la nominata orazione esimendola da un codice della biblioteca capitolare della Cattedrale di Lucca. Non voglio pensare che siffatto codice fosse tanto scorretto; e di tutti gli errori, o almeno della maggior parte, ne darò piuttosto colpa, non al Mansi, ma a chi per lui l'ebbe copiato, non avendone forse saputo leggere il carattere e le abbreviature, perchè mal pratico del latino. Che se fu letto bene, era in ogni modo dover del Mansi cercare per altri codici e confrontarli col suo, o almeno far nota degli errori, e racconciar quelli ch'era possibile.

5) Questo codice membranaceo, compreso nella Classe XI. K. f.XXIV. consta di 52 pagine con be' caratteri, e con lettere iniziali messe a oro e colori. Trovi da principio l' epistola dedicatoria di Monsignor Leandro Pelagallo da Perugia al Cardinal Sforza Visconti, e in calce dell'epistola osservati ritratto lo stemma di esso Cardinale. Siegue l' epistola dell'imperator Massimiliano con che invia l'orazione al re di Sicilia; quindi l'orazione, e in fine un carme latino, ove l' Italia stessa parla a Massimiliano, riepilogando le cose dette nell'orazione. Nella stampa del Mansi mancano e la dedicatoria del Pelavano e il carme. Il titolo poi dell' orazione che nella stampa precede alla lettera di. Massimiliano, nel codice sta a suo luogo, ossia in capo dell' orazione. Il l'imboschi nella storia della letteratura italiana ci fa sapere che un altro codice di essa orazione trovavasi a suoi tempi in mano del sig. Jacopo Morelli famiglia Fiorentina.

 

La gente dei Cardoli, oriunda, come si crede, della Germania, e discesa dal sangue de' Longobardi 1), fu barone delle Coppe, di Torricella Lugnola Monte e Balduino castelli situati nel territorio narnese, de' quali furon distrutti Torricella Monte e Balduino. Essa gente diede a luce molti esquisiti personaggi chiari non tanto per le armi, per le lettere e scienze, quanto per le dignità ecclesiastiche e civili.

Tra quelli è singolarmente degno di menzione Francesco Cardoli virtuoso oratore storico poeta e diplomatico, del quale mi propongo dir qui poche parole, semlo poche le notizie che rinvenni sopra la sua vita e i suoi scritti. E forte mi dolgo che siasi smarrito il discorso che compose intorno a lui il dotto Canneta nell' anno 1692, come narra il Mittarelli negli annali de' Camaldolesi.

Chi fusse la madre di Francesco, e in qual epoca venuto al mondo, èmmi ignoto.

Il padre fu nominato Simeone, ch' ebbe altri tre figli in Tommasa Bernardo e Marco.

Tommasa Cardoli La prima, fattasi monica e santamente vivendo, fu invitata dal Duca d' Este in Ferrara, perchè dovessegli quivi fondare e ordinare un monistero sotto la regola di S. Domenico,

Bernardo Cardoli, il secondo, meritevole per la sua virtù e sapienza d" esser fatto Canonico in Narni e poi Vescovo. non so di che luogo, sbrigò difficili negozi a Giulio II e Leon X in condizione di Nunzio e Legato.

Il terzo Marco, ebbe voce con Francesco d' uomo dottissimo e maraviglioso per larga memoria: quantunque la memoria di Francesco fosse più solenne, e se ne contassero i miracoli più belli che mai. Imperocchè non tanto, come leggeva, o udiva leggere una volta sola due o tre pagine di qualche libro, restavangli queste saldamente e chiaramente impresse nella memoria, e recitavate netto da cima a fondo; ma eziandio, ciò ch' è più da maravigliare, lasciando il capo e l'ordine del dettato, facevasi recitando a rovescio tutta quanta la lezione, senza mai far posa, o smarrirsi, e senza che fossegli mai caduta in fallo Una parola. Laonde sembrò si rinnovellassero in lui i prodigi narrati della memoria di Simonide di Teodette di Cinea di Carmide di Scepsio Metrodoro d'Ippia il Sofista di Seneca il Declamatore di Pico della Mirandola di Pietro Tomai e altri. Fornito il Cardoli di tanto vasta memoria la memoria detta da Esiodo operatrice d'ogni cosa, e da Prometeo presso Eschilo madre delle Musei e avendo un fortissimo amore agli studi, potè erudirsi nelle migliori discipline dei sapienti, e cosi farsi chiaro e famoso in tutto il mondo.

Francesco Cardoli

Egli fioriva sul finire del sec. XV, e sul principio del XVI. Fu Sacerdote e Protonotario Apostolico partecipante, dignità a que' tempi ragguardevolissima perchè non conferivasi d' ordinario, che a persone di°puro sangue e di somma dottrina. Il Cardinal Ardicino della Porta tennelo a- suoi servigi 2), e fugli sempre amorevolissimo protettore, avendo a lui procurato, non solo qualche onore e dignità, ma pure mostratogli col lume della sua mente la via difficile della sapienza. E ciò confessa per gratitudine listesso Cardoli nell’orazion funebre fatta a lode del medesimo Cardinale che morì ai 4 febbrajo 1493 con dolore e lutto infinito d'ogni persona dabbene, ma specialmente del nostro Cardoli che perdeva in lui il saldo appoggio della sua vita, della sua gloria e fortuna. I Porporati, che assistettero all'esequie del lor collega, e alla cui presenza venne recitato l'elogio, restarono ammirali all'eloquenza del Cardoli, il quale in brevi eleganti affettuosissime parole seppe striguere il mollo della vita di Ardicino. Sparsosi il grido di siffatta orazione, fu cerca e letta desiosamente da' sapienti, e per onore suo e per mulliplicarne agevolmente le copie, data pure alle stampe. Ivsa giovò in seguito a chi vuoile scrivere dell'Ardicino, e il Cardella ficcne ritratto nelle vite dei Cardinali, come a ciascuno è facile rilevile, e rome ne assicura eziandio Ludovico di Attichy nell'opera intitolata: tbn'.* hùsliiiae meri Collegii S. R. E. Cardinatium.

Dopo la morte del Cardinal della Porta andò il Cardoli a' servigi dello Sforza Duca di Milano. Ma l’Imperator d'Austria Massimiliano I, innamorato della sua fama e dottrina, chiamollo in corte con officio di Segretario, e quivi dimorò qualche tempo. In questo mezzo erasi proposto scriver le gesto del suo Signore, ina ignoro se ebbe mai colorito il disegno. E certo ch'era abilissimo a questo studio, nè sanagli mancata vasta materia all'opera, correndo allora un' epoca piena di tumulti, di fatti empi o virtuosi memorabili, piena di guerre e contese fra tutti i regnanti di Europa, piena di vittorie e sconfitte, nelle quali cose, ora biasimato e ora lodato, prese Massimiliano la maggior parte. E la storia del Cardoli sopra Massimiliano sarebbe riuscita accettissima spezialmente ai Tedeschi, non solo per la qualità dello scrittore, quanto dell'eroe celebrato: amendue sommamente amati pregiati e ammirati in Germania; l'uno per la dottrina, l'altro pel valore militare, per la singoiar protezione a' sapienti, e tutti a due per la pratica di bene amministrare la cosa pubblica, per la cortesia e per le virtù popolari di che andavano per eccellenza forniti. Anche in Germania venne a Francesco il destro di far conoscere la sua squisita perizia nell' eloquenza, e ciò accadde allorchè Massimiliano nel luglio del 1500 commisegli nella Dieta de' Principi Germanici patrocinar la causa dell' infelice usurpatore e Duca di Milano Ludovico Sforza, il quale, privato del regno delle sostanze, e carcerato pe' Francesi e Veneziani, implorava l'ajuto delle armi imperiali per esser liberato del servaggio, e rimosso nel pristino suo stato. L' argomento era solenne e di gran momento, con ciò sia che dalla libertà di Ludovico provenisse la libertà di tutta l'Italia, la saldezza della religion cristiana, la securtà dell' impero istesso. Ma egli lo trattò sì bene e con tanto nerbo gravità ordine chiarezza e arteficio rettorico che ottenne il fine desiderato; e l' imperatore, consenzienti tutti i Principi germanici, commosso dalle sue parole decretò la spedizione di un esercito in Italia a favor dello Sforza contro i Veneziani e Ludovico XII re di Francia. Siffatta orazione mosse rumor da per tutto, e Massimiliano istesso invionne copia al re di Sicilia, accompagnandola con lettera latina ch' è solenne elogio pel Cardoli. Anco il Tiraboschi fanne menzione e lode nel, terzo libro ( tom VII, par. 4, pag. 1578. Firen. presso Molini ecc. 1812; della storia della letteratura d'Italia, e il Mittarelli negli annali dei Camaldolesi ( tom. VII, pag. 348, e tom. VIII, pag. 513 ). Il Guicciardini poi se ne fu servito per tessere il discorso che nel primo libro delle istorie mette in bocca a Carlo di Barbiano Conte di Belgiojoso, affin di persuadere Carlo VIII re di Francia a prender le armi contro Napoli. E sebbene il prof. Rosini nelle sue annotazioni a quella storia (ediz. Fiorai, del Borghi 1836) dica aver V autore cavata la sostanza del discorso del Belgiojoso dalla lettera latina che lo Sforza scrisse al medesimo re, e che vien registrata dal Corio nella storia di Milano, ciò non ostante sembrami, e per l'assunto, e per qualche argomenti e concetti simigliantissimi, che il Guicciardini abbia meglio seguite le tracce dell' oravione del Cardoli che non della lettera del Corio. Ma voglio anche ammettercene il'sommo storico modellasse su questa le parole del Conte, in ogni modo darem merito al Cardoli di essere stato imitato dal Fiorentino scrittore, giacchè sappiamo che il Cardoli fu quegli il quale, dimorando in Milano, detto^per lo Sforza la lettera citata dal Corio. Non ostante i giusti elogi per me donati a cotesta orazione, deggio confe-sare schiettamente che pecca rare volte di oscurità pe' molti incisi e incidenti incastrati ne' periodi, e che pecca pure per soverchia imitazione di Cicerone e di Tacito in modo che ne copia qualche concetto anco alla lettera. Ma dovremo un po' scolparlo di cotesti difetti pel poco tempo che fugli dato a comporta.

Convien pensare che siffatta orazione non fusse nota a Ludovico XII- altrimenti non saprei persuadermi com'egli, poco dopo essere stata questa messa in palese, chiamasse in corte per suo consigliero l ' autore istesso: se pure noi facesse per un dispetto all' imperatore suo nemico togliendogli sì grand' uomo, o che fosse tanto generoso da dimenticar l'ingiuria di quel discorso, o che .vedesse tornargli più buono e utile lo accattivarsi I' animo del Cardoli co' benefici' che non inasprirlo con I' odio e con la persecuzione essendo vero che per uno Stato vale più un nomo saggio ed eloquente che non un poderoso esercito ed un ricco tesoro Nel 1502 il Cardoli già trovavasi in Francia presso il detto re. K nel mese di marzo di queil ' anno istesso mandollo, come ambasciatore, alle repubbliche di Firenze e di Siena, affinchè con loro facesse pratiche pel ritorno di Pandolfo Petrucci, il ipiale s'avoa lasciato il reggimento di Siena, e quinci volontariamente partitosi, per non doverlo fare a forza, e per non dar nelle mani del Duca Valentino suo acerbissimo nemico, il quale, già tenendo in poter suo una parte della Toscana, e aspirando al reslo, cercava catturarlo per forse {strangolarlo, come avea folto di Paolo Orsini e del Duca di Gravina. Il Car.loli trattò il negozio con molta industria, e ne venne subito a cìlpo qualmente raccontano nelte loro istorie il Malavolti, il Guicciardini e Jacopo Nardi, le cui parole del libro IV piacemi qui riferire:

In quei medesimi giorni fu data commissione a Jacopo Salviati che tornava da Roma che passando da Siena parlasse con quel reggimento, tentando con qualche ragionamento d'introdurre in quella città qualche forma di nuovo governo per cavarne qualche comodità circa le rose di Montepulciano. Il qual tentamento fu tutto vano, perchè in quella città non era mutato alcun ordine di governo, essendovi rimasa la medesima balìa della fazione del monte de' nove e la medesima guardia della piazza: il che dimostrava non v' essere seguita alcuna mutazione, e massimamente per ciò che Pandolfo non era stato posto in pregiudizio alcuno oltre la sua partita. Per la qual cosa vedendo la città non essere in Siena forma di governo stabile, e dubitando che in quel popolo potesse insurgere qualche non aspettato accidente, e che alla fine il Duca fosse chiamato per loro Signore si fece deliberazione di cercare modo e via di rimettere in stato Pandolfo con l'autorità e favore del re di Francia, giudicando esser molto più a proposito che egli fusse capo di quella città, benchè non amico, che il Duca ne fusse Signore, ancora che non fusse inimico. E parendo questo medesimo essere cosa utile al re, fu mandato da lui in Fiorenza un suo uomo chiamato messer Francesco da Narni per praticare e conducere una certa unione tra Siena Lucca Bologna e Firenze, affinchè sotto colore di questo maneggio si praticasse la tornata di Pandolfo in Siena, senza darne ombra al Pontefice e al Duca. Del qual benefizio fatto a Pandolfo si sperava anche di cavarne qualche frutto circa la restituzione di Montepulciano. Venuto adunque messer Francesco sopradetto, e ordinate che furon le cose di Pandolfo segretamente con la signoria, ei se ne andò a Siena ad ordinarle con quel reggimento, sotto coverta della sopra detta unione ragionata. E di poi essendo ritornato il medesimo in Fiorenza per risolvere tutte le diflicultà occorrenti, finalmente essendo assettate tutte le altre cose, si prese obbligo e promessa dal detto Pandolfo, che quanto prima si dovesse restituire Montepulciano alla Signoria di Firenze, o vero depositarlo in mano della Maestà del re, e questo a cautela per manco offendere il popolo di Siena, molto contrario a tale restituzione. E così fatte tali convenzioni e obblighi a dì 29 di Marzo ritornò Pandolfo in Siena accompagnato da alcune genti de. Fiorentini, avendo il monte de' nove la notte precedente prese l' arme in favor di quello. Sì che nella sua tornata non seguì scandolo alcuno, essendo anch'egli accompagnato dal sopra detto uomo del re per sua maggiore riputazione, e perchè si vedesse che tutto seguisse principalmente per ordine di (inclia maestà, e non per opera de' Fiorentini acciò che il Papa e il Duca manco di ciò si avessero a perturbare: i quali però mal volentieri dissimulavano tali affetti, a

Condotto a termine l'affare del Petrucci, il Cardoli ebbe dal re comandamento di restare in Siena e dimorarvi a voglia sua, giacchè premevagli di molto tener lui in Italia, e giovarsi del suo senno per comporgli bene le cose di questo Stato che avea tenuto e ancor teneva in continua sollecitudine e angustia tutta quanta la Francia Ma se molti dei grandi e potenti ingegni italiani non si fossero venduti allo straniero, ed avessero in vece servita con amore e fede la propria nazione, questa sarebbe forse anc’oggi rispettata e non ischiava turpemente depressa.

Quanto tempo stesse il Cardoli in Siena, e quanto a servo del io Ludovico uon m'accadde saperlo. Ma è certo che poi la morte di tal Sovrano truovavasi in ufficio presso Leon X 3), Pontefice sommo e immortale che chiamò a corte e favorì in magnifico e special modo tutti gl' ingegni migliori che avesse il suo secolo. I1 Cardoli fu intimamente domestico di questo Papa, e venne dal medesimo operato nei negozi più dilficoltosi e di più grande reputazione che avesse allora la Santa Sede. Ma la stima e benevolenza di Leone furongli in parte perniciose, perchè, avendolo egli l'ultima volta destinato a Nunzio apostolico presso l'imperator di Germania, poco innanzi al partire venne improvvisamente ammazzato da chi temeva del suo ingegno straordinario.

Il caso tremendo fe' sbalordire tutta Europa che lo amava e ammirava altamente La salma fu deposta nella chiesa della Pace, e sulla sepoltura fatto scolpire un epitaffio in lode che più non si truova.

I costumi del Cardoli furono assai soavi e belli, e fra le tante virtù, di che era adorno, spiccarono in lui maggiormente 1' affabilità nel conversare, la sollecitudine nel beneficare, la carità nel prossimo, la fede alle promesse, l' amor saldo e sincero alla religione.

Leandro Alberti nella descrizione dell' Italia dice ch'egli fusse dottissimo e di forme belle. anzi maravigliose. Lo ricordan pure con somme lòdi Monsignor Majolo ne'giorni canicolari, il Buonaccorsi nell'opera dell' antichità ed eccellenza de' Protonotari apostolici partecipanti, e il Cardinal de Franello nelle sue storie. Il Padre Secondo Lancellotti nel libro intitolato V Oggidì, e l' abbate Francesco Cancellieri nella dissertazione sugli uomini di gran memoria, e altri, che lascio per brevità, notano in singolar guisa l'alto portento della sua celebratissima memoria.

Il Cardoli scrisse molte prose e poesie in latino, ma, tolte le due prefate orazioni e il carme allegato nel codice della Marciana, il resto o fu perduto, o sta sepolto e dimentico in qualche archivio o biblioteca. Ma per tórre buona opinione dell'ingegno di lui bastano assai i due discorsi che sieguono, perchè non dal dunoio, ma dalla squisitezza degli scritti anco di poche pagine convien giudicare la grandezza della mente e della sapienza de' loro autori.

Giorgio Viviani Marchesi nella Galleria di onore de' Cavalieri di S. Stefano, dopo aver notato come Gianantonio di Balduino Cardoli fu addi 51 Ottobre 1040 fregiato della croce di Santo Stefano, seguila a far la storia della sua famiglia con queste parole.

• Vantavansi ( i Cardoli ) con tutta giustizia d'una rara e antichissima nobiltà, ricevuta col sangue da Longobardi nella persona di un Dono. Dopo molle generazioni discese questo In Viccardo Signore de' castelli di Lngnola Coppe e Monte, che visse nel 1087, intitolato negli strumenti - Nobili vir Dominili eie. ; appellazione assai speciosa in quei tempi. Da lui provenne Berardo padre di Donadio, avo di Uffreduzzo, proavo di Donadio II, abavo di Cardolo, ed atavo di Viccardo II, che uni in alleanza i suoi patriotti col popolo di Spoleti. Ebbe da Viccardo i natali Cardolo insigne professore di leggi, il quale governò i Folignati sotto titolo di pretore l'anno 1309, e fu genitore di Quirico negli atti pubblici chiamalo - Magnificili et poterti Miles .

 

Quirico Cardoli

QuiriCum D. Cardali de filiis D. Viceardi Kamiensis Perugini populi Generali Capitanerà -

Costui fu degno pel suo valore di riportare titoli così eccellenti che in quell'età non attribuivansi che ai sovrani, e l'onore del cingolo militare allor tenuto in tanta riputazione, che molti, ancorchè portassero cinte le tempie di corone reali, non isdegnaron di ricercarlo.

Riuscì Quirico famoso nelle cose di guerra, onde diffusosi il grido per ogni lato del suo coraggio e singolar perizia nelle armi veniva bramato avidamente dai popoli e dominanti pel commodo delle loro soldatesche. Era di lui germano per nascita e per virtù quel Biagio che nell' anno 1548 sedette nel Campidoglio romano con dignità senatoria.

Furono da Quirico generati Giovanni e Pietro. Questi passato in Francia l'anno 1555 difese presso la Santa Sede le ragioni della sua patria sopra i castelli di Perticarla e di Rocca che pretendevano di levarli a viva forza i Ternani,  primo ne provenne Vittorio Capitano del popolo di Firenze nel 1410 genitor di Biagio II che per le prove date di prudenza e sapere in principalissimi impieghi, ed in particolare nella Fiorentina Pretura l'anno 1427, ebbe similmente nel 1444 il Senatorato di Roma. Tra I figliuoli di questi fu singolare Domenico Signore di Lugnola Coppe e Monte che con Barlolomea di Niccolò Monaldeschi Barone di Monteclavello procreò Biagio Domenico e Cardola. Il primo compassionando la rovina inferita alla patria dall'esercito Alemanno dopo il saccheggio di Roma, adoprossi molto per ristorarla dai tanti danni. Il secondo procurò di darle ornamento colle virtuose sue azioni, riportando in premio di quelle la badia cardinalizia di S. Benedetto in Stroncone.

Cardola poi fu concessa in isposa ad Arcadio Arca, stirpe nobilissima in Narni che ha dati in Roma più Senatori e famosissimi guerrieri all'armata, il cui figliuolo Febo venne adottato nella famiglia Cardoli coll'assunzione dell'arme e col retaggio della Signoria di Coppe. Ma per toccare i soggetti più celebri usciti da vari rami in quest' insigne lignaggio diremo che Giovenale di Cardola, e per mezzo di esso nepote di Viccardo II, uno dei Signori de' predelti Castelli, fu reputato degno d' aver per consorte Agaia Trinci sorella di Corrado principe di Fuligno e Nocera. Frutto di queste alle nozze fu Lodovico del pari eccellente nelle cose di pace e di guerra che nell'anno 1356 tenne la pretura de' Folignati, e nell'anno 1368 sentissi acclamato per Generale de' Perugini. Godette parimenti questa dignità Giovenale II il figliuolo che comandò nel 1377 le milizie Camerinesi. Lancellollo di Lucantonio di Vittorio di Onirico, chiarissimo per le proprie virtù per li Baronaggi e per le ricchezze, da Lisabetta nata dall' invitto Gattamelata Capitan Generale de' Veneziani ebbe Gio. Antonio e Francescana accasala in Angelo Cesi ceppo dei Duchi di Acquasparta e di Cesi madre di due gran porporati Paolo e Federico. Dal maggiore usci Gio. Ballista padre di Baldovino che nei primi voli sposò Costanza figliuola ed erede di Morizio Signore di Castelluzzo, e nei secondi Calvinia di Paolo Orsini Signore di Castel S. Pietro, e di molli altri luoghi, da cui venne alla luce il nostro Cavalier Gio. Antonio. Da laterali rampolli germogliaron poi altri Eroi, che non possono senza farsi loro ingiuria, tacersi. Gentile uomo insigne nella facoltà militare sostenne in guerra cariche di gran lustro, fra le quali il capitanato del popolo Fiorentino nel 1427. Bernardo Francesco e Marco figliuoli di Simone fecero anch'essi mollo onore alla patria e alla prosopia. Il primo sali ad eminenti gradi di Prelatura, andò Nunzio di Giulio II in Boemia, e fu impiegato in altre gravissimo legazioni nelle quali si feoe merito per la Porpora che li sarebbe stala in breve dal Pontefice conferita, se non ostava ai comuni desideri la morte. Il secondo Protonotario del numero de'partecipanti così ben organizzalo ili corpo che esiggeva il rispello, ed arricchito dalla natura non meno di perspicacissimo ingegno che di una prodigiosa memoria per la quale riasci lo stupore de' suoi tempi. Coniano che in prova della sua felicità noi tenere a mente lette che egli avesse una sol volta due facciate di un libro non più veduto, ripeteva il letto di parola in parola, ripigliando dall'ultima e con ordine retrogrado giungendo d'una in un'altra sino alla prima. Fu costui non solo io altissimo preggio della Corte romana, ma anche di varie teste coronate, ed in particolare di Luigi XII re di Francia che addossali la sua regia rappresentanza presso i Senesi. Il terzo emulò il fratello nella dottrina e nella tenacità della retentiva facendo anch'evli spesso vedere di quelle stupende prove. Flavio e Fulvio di Dionisio, 1' uno degno Prelato di Doma, l'altro poeta, ed assai facondo oratore della Compagnia di Gesù, come dimostrano le opere sue pubblicate dai torcili 1' anno 1527.

Altre notizie della Famiglia Cardoli truovansi ne' manoscritti del borio, posseduti dal Seminario di Fuligno, al Iom. XIV. pag. 558-301; e sono state dettate da uno dell' istessa famiglia, che io credo con molta probabilità il celebre Fulvio Cardoli Gesuita, di cui parleremo qui appresso, e del quale già fece molto il Marchesi.

castello_di_coppe.jpg (59481 byte)

Castello di coppe presso Stroncone

" La nostra famiglia de' Cardoli è padrona del Castello Coppe e Torricella, ed è stata padrona di una parte del Castel di Lugnola, e in una parte del Castello dello Monte fin dal tempo di Federico I imperatore quale regnò nel 1155, nel qual tempo Bibbiono Cardoli divise il Castello delle Coppe ed altri beni tra li suoi figliuoli come consta per una scrittura amica; e del dominio e possesso di detto Castello delle Coppe nei Cardoli costa per un instrumento di vendita fatto al tempo di Innocenzo V , e par un lenimento dotale a tempo di elemento VI e per un instrumento di emancipazione a tempo di Urbano V nel 1270, e per un testamento a tempo di Gregorio VI nel 1374; e dello dominio e possesso si continua al presente con l'ajuto di Dio. Il Castel Caulmno e la Torricella al presente sono diruti; ed il loro territorio è unito al territorio delle Coppe e delia Torricella, ed in sito fortissimo, ed a tempo della fazione Guelfa e Ghibellina era in gran stima per la parte Guelfa, dove si ritiravano ben spesso, e si facevano forti in danno della parte Ghibellina , come in una scrittura antica di 100 anni si nota. Detto Castello è Feudo: paga alla reverenda Camera Apostolica in vigilia S. Vetri. Di della famiglia e stato Francesco Cardoli uomo dottissimo nell'una e l'altra lingua, il quale fu consigliere del re Cristianissimo Lodovico XII, e per sua maestà ambasciatorc residente alla repubblica di Siena, ed ambasciatore strani d'mai io alla medesima il 11 Marzo 1503. Fece istanza in balia d'ordine di S. M. Cristianissima per Pandolfo Petrucci, onde fosse restituito nella patria, avendolo sua Maestà pigliato sotto la sua protezione, coni - nelle croniche di Siena del Malavolli; e del detto Francesco fa più volte menzione il Guicciardini nell'i sua storia. Dello Francesco fu di memoria felicissimo, perchè leggendo più fogli in una lezione li recitava tutti alla mente da principio sino alla line, e dalla fine al principio come attesta Monsignor Majolo ne' suoi giorni Caliculari colloquio i nel principio, e fra Leandro nelle sue storie d' 1talia ne fa onorata menzione più volte, e nelle istorie del Cardinal de Franello scritte dal Cardinal Ardicino Secondo della Porta nella morte del quale detto Francesco fece l'orazione funebre: qual Cardinale mori l'anno 1493 pridie nonas februarj. E che sia stato consiglio del re di Francia, come si asserisce, Giulio li ne fa menzione in una investitura che fece a detto Francesco; e si vede nell'Epitaffio della sua sepoltura in Roma a S. .Maria della Face, il quale poi destinato dal Papa Nunzio all' Imperatore fu ammazzato come in detto Epitaffio, e del tutto ne sono altre memorie in casa appresso di me. Della medesima famiglia fu Bernardo Nunzio di Giulio 11 a Ladislao re di Ungheria e di Boemia l'anno 1511, come apparisce per lettera di detto Re al Papa, quali si conservano appresso li signori Bernardo e Felice Cardoli. Fu familiare del Cardinal di Strigojiia e Canonico narnese. •

A queste notizie debbo aggiungerne alcune altre. Trovai nelle istorie un Giacomo Cardoli Giudice e Vicario nel 1377 del Podestà di Perugia Gerardino Boschetti, un Giovenale Podestà nel 1313 di S. Gemine. Quirico Cardoli, tanto lodato dal Marchesi, fu giudice in Narni, e fece testamento addì 2 dicembre 1572 per gli atti di Pollacio di Pellegrino, e lasciò al Monistero di S. Domenico (ora convento di S. Girolamo) una torre con casa e terreno, ed alcuni crediti per istituire un ospedale da ricettare i poveri pellegrini. Da questo testamento, allegalo nel ms. Brusoni, più volte nominato, rilevasi ch'egli s'avea per moglie una tal Balduina dalla quah; vennergli due maschi Giacomo e Renzo, e due femmine Taddeuccia ed Elisabetta. Pietro e Giovanni, dati dal Marchesi per figli di Quirico, non leggonsi nel testamento, ma da altri documenti, che ho presso di me, rilevo che il Marchesi disse il vero. Infatti Giovanni fu Podestà di Viterbo, e Francesco, altro Oglio dato a Quirico, ebbe la podestaria o capitaneria di Gubbio nel 1377. Bernardo, Nunzio del Papa a Ladislao fu eziandio Camerier secreto di Leone X, e da questo Pontefice eletto a Commissario nel 1513 per far pace con Fano e la S. Sede, e nel 1519 tra la medesima S. Sede e il .Munieipio di Fermo. Ricavo dalle croniche mss. di Todi che un Bernardo e un Domenico furon Podestà di quel Comune, il primo nel 1470-1508; il secondo nel 1498- 1500. Questi istesso andò Podestà a decanati nel 1489, come rilevasi dalla storia del Vogel. Alessandro nel 1497 ebbe a governo Città di Castello, dove mori. Il Muzzi nelle sue memorie storiche errò chiamandolo Alessandro Cardoli. Giovanni Bernardino Podestà di Viterbo nel 1513 o 11. Nel 1514 venne con breve Pontificio eletto a Tesoriere di Narni. Quintiliano ottenne pel suo valore il comando delle truppe pontificie in qualità di Capitano nel 1590.

Monsignor Andrea morto nel 1665,

come leggesi nell' iscrizione della Chiesa de' nostri PP. Domenicani, fu avvocato celebratissimo, Vicario Generale in patria e in Rimini ecc. Ecco la sua lapide posta nella seconda Cappella della navata destra, la quale t'informerà meglio de' suoi meriti.

D 0 M

ANDREA DE CARDVLIS NARNENSI PATRITI0

IOANNIS BAPTIST.* AC PAVLAE DE HERVLIS

PIISSIMORVM PARENTVM FILIO

CVPPARVM OPPIDI CONDOMINO

NARNIE ET ARIMINI GENERALI VICARIO

ROMANA CVRIE ADVOCATO CELEBERRIMO

PROTHONOTARIO APOSTOLICO

PETRI DONATI DE CAESIS GENERALIS THESAVRARII

AC S. R. E. CARDINALIS

DIFFICILLIMI QVOQVE BELLI TEMPORIBVS VMBRIE LEGATI

SVB VRBANO VIII PONT. MAX.

Primario Avditori

S. Ivvenalis Sacello Marmoreis Fvlcito Colvmnis

Patriaeqve Bibliotheca Pvblica Instrvcta

Honophrivs Et Cardolvs De Cardvlis

Testamentarii Heredes

Fratri Optimo Posvere Anno MDCLXX

Obiit Rome V. Idvs Novembris MDCLXV

etat. Sue An. Lxv

 

Stemma Cardoli -Ricci attualmente in biblioteca comunale.

Nel ms. Cotogni a pag. 259 e 273 trovo le seguenti particole sulla detta gente.

" - Essendo Governatore di Narni Monsignor Vescovo di Sarsina li signori Pubblici Rappresentanti e Cernita ebbero lettere dall' Emo. Cardinal Legato, in quali si doleva che Gio. Maria Morganlc Cardoli fusse ritornato armato in Narni con accompagno di più uomini anch'essi armati e che fusscro stali fatti in tale occasione molti delitti. Ordinava che se la pace per esso falla da Francesco Eroli e Girolamo Cardoli non fusse rattificatada detto Morgante. che dovessero essi Promessori portarsi entro sei giorni in Roma, e che la casa di Morganlc fusse demolita sino a fondamenti. Di marzo 1.11"i trattenendosi Morgante nel Castello di Lugnola, Dominio del Duca dì Gravina, li signori Pubblici Rappresentanti di Narni gli mandarono loro lettere, ed avendo molli del suo partilo in Narni deposte le armi, Dionisio Cardoli però persisteva tuttavia ncll' intrapresa risoluzione di proseguire in quelle " .

• Erano state a persuasione del comune nemico suscitate in Narni varie discordie civili. Maravigliosa fu quella tra Dionisio Cardoli, e Baldovino Cardoli; quali abbenchè traessero 1' origine da un medemo nobile lignaggio, ed avessero consanguinilà nella discendenza, nulla di meno uno contro l'altro inferirono gran danni: ciascuno di essi riteneva nella propria abitazione uomini armati loro pervenuti, cioè a Dionisio da Todi, et a Balduino da Stroncone; e vicendevolmente si devastarono in maggior parte le case. Ad eletto di togliere questi scandalosi progressi d'inimicizie si fraposero Giubileo Arca, e Paolo Orsini signori di Castel di Piero loro parenti; e gli riuscì di tirarli a pacificazione, anzi le parli istessc rimisero, e compromisero lo loro diferenze in Jello Giubileo, in Cardolo Cardoli e Teodoro Cantoni; et indo nel di 9 agosto Ij-ì2 ne fu sli'polato formale atto di pace; essendo nel giorno precedente seguita la rappacificazione tra Andrea Eroli, e Luccantonio figlio del già dello Dionisio Cardoli per se suoi fratelli e padre; intervennia 1' autorità di Monsignor Rinaldo di Montoro Vescovo di ISarni, e per opera e persuasioni di dello Monsignor Vescovo e di Donna Isabella Liviana dclli Cesi, diedero vicendevolmente sicurtà di non offendersi " .

Case cardoli  nei pressi della chiesa di San Domenico

Da questo racconto si conosce che tre erano in Narni nel sec. XVI le case Cardoli, e ciò ebbi pur rilevato per altri documenti. Oggi ne vive una sola rappresentala dal sig. Antonio Cardoli e suoi figli Francesco Giuseppe e Romolo.

A vie più dimostrare la religione e la beneficenza della Famiglia Cardoli verso la patria caverò da un libro ms. di ricordi, conservato nel nostro Convento di S. Domenico, i seguenti squarci " - 1595 Ricordo come il Convento comprò un pezzo di terra nel territorio di Corviano di solli uno e canne 95 qual terra e canapina pel prezzo di se. 18 il sollo, e fu comprata da Bernardo di Vincenzo da Stifone, e il denaro lo pagò Febo Cardoli per parte della date della Cappella di S. Tommaso lasciata da Domenico Cardoli come dirò appresso a rogito Ser Ottaviano Riddimi • - 2593 Ricordo come nel mese di marzo fu sotterrato in Chiesa nostra Domenico Cardoli havendo instituito erede suo universale Febo Arca e la sorella con questi patti e condizioni che si devino chiamare di casa Cardoli, e mancando a quello sono obbligati a pagare se. 500 per ciascheduna volta che si faranno chiamare por nitro nome e che useranno arme diversa da quella della Casa Cardoli con patto che detto erede Febo sia tenuto statim fare una Cappella intitolata dell'Angelico Dottor S. Tommaso d'Aquino in S. Maria Maggiora con la spesa di se. 400 tanto per fabbricarla quanto per dote, senza obbligo alcuno; e dato raso che detto Febo morisse senza successione istituì erede in mancanza di detta linea la detta cappella. Il valore delle sostanze di detto Domenico ascendeva a 16 in 18 mila scndi - Per rogito di Ottaviano Ridolfini 4 maggio - Per rogito di Pietro Mancinelli cari. 102 di 55 maggio 1595. • - 1025 llir orcio come essendo morta tal Elena Cardoli moglie già di Tarquinio Cardoli il di 28 agosto, et avendo lasciato per suo testamento se. 700 al Convento per dole della sua Cappella di S. Barbera nella loggia della nostra Chiesa con obbligo di una Messa quotidiana e un trentesimo l'anno (sic) in perpetuo, e che quando deve andare detta Messa in detta Cappella si diano 5 tocchi dì campana il convento accettò detto legato sotto il dì 19 settembre, et essendo erede universale la Compagnia del Sagrameuto dopo molte discussioni della Compagnia consegnò al Convento il podere del casale in valle cupa a ragione di se. 1582 il sullo, e perchè pareva al Convento troppo caro, e pretendeva che si scemassero se. 50 dalla stima la detta Compagnia consegnò una selva che serve per pali da vite e se. 150 in tanti censi, il che arrivò alla somma di se. 700 e fu rogato per Ser Ucrenio Carnaccia - 1027 Ricordo come in quest'anno mori Tarquinio Cardoli marito di Elena Cardoli soprad. quale lasciò al Convento se. 100 per fabbricare un altare e se. 200 per dote di detto con obbligo di una Messa il sabato e due anniversari, cioè il dì dopo S. Biagio, e uno dopo S. Francesco di Paola. Qual legato fu pagato dagli credi di Tarquinio nel 1051 come si vede all' entrata C. q13 una parlila di se. 200 pagati da Ottavio e Lodovico Arca come eredi e se. 100 di terra in Valle cupa qual terra era de' medesimi eredi " confinava con le terre avute per 1' eredilà di Elena Cardoli.

II quadro di S. Tommaso, anch' oggi esistente, della Cappella eretta da Febo Arca Cardoli è di buon pennello. Va' iscrizione ricordava la fondazione di essa Cappella in questi termini

A FVNDAMEMTS SACELLVM HOC ERIGI PHOEBVS CARDVLVS CVRAV.IT AC DOTAVI! A. D. MDVIC

Cotesto Febo fe' levare in piazza Cajola un palazzo suntuoso e di bella architettura, posseduto oggi dalla famiglia l'ordinandi per una parte e per 1' altra dal Brefotrofio. Un secondo palazzotto, appartenuto a un ramo della medesima gente, è quello posseduto oggi dal Marchese Patrizi Montoro di Itimi" posto presso la piazza di S. Maria Maggiore ; e il Marchese Patrizi acquistollo

cardolin5.jpg (86963 byte)

l' arma dei Cardoli ha in cima tre gigli in campo chiaro a piedi una sbarra orizzontale rotta, ove sia un fulvo leone.

fircardoli.jpg (85742 byte)

Stemma Cardoli a Firenze

dai Piangili di Jesi con altri beni per la somma di se 20500; e i Pianeti ebbero siffatto patrimonio per parte di una Cardoli entrata in casa loro con diritto di erede universale della propria famiglia. Le insigni virtù e qualità di lami personaggi già nominati meritarono alla gente Cardoli la benevolenza amicizia e parentela di molte ragguardevoli Famiglie e individui, meritaronle pure un olmolo di ricchezze e di onorificenze fra le quali le croci di S. Stefano e di Malta. A provare le loro nobili parentele non occorrerebbero altre parole, avendone già detto abbastanza;

ma non posso fare a meno pel mio proposito di riferire le tre seguenti iscrizioni che leggonsi nelle Chiese di Roma:

 

In santa Maria della Pace.

D O M

FRANCISCIN.dE CARDVLiE

ANGELI CiESII VXORI Catamelatje

VENETORVM EXERCITVS IMPERATORE NEPTI

CARDINALIVM MAIRI

FEDER1CVS FILIVS CARD. POSVIT

VIXIT ANNOS LVTT MENSES IT D1ES XI

ORIIT AN. SAL. MDXVII1 DIE XV APRILIS

 

A S. Gregorio.

D. 0. M.

IVLIO PICCOLINO POMPEII F.

PATRICIO NARNIENSI

CIVI ROMANO

SVAVITATE MORVM IVDICII Prjestantia

OMNIRVS SVMME CARO

QVI DVM AD HONORES PROPERARET

IMMATVRA NIMIS MORTE PREVENTVS

ANNO JET. XXXII. MEN. X. D. V.

EXTINCTVS EST X. KAL, IVLII. MDXXX

PAVLA CARDVLA FILIO DVLCISS. B. M. F

 

A S. Maria in via lata.

 

D. 0. M.

ALEXIO. CARDVLO. NOB. NARNIEN.

Nervje. FILI. V. CONSVLTO

CVIVS. EGREGIA. VIRTVTI

DEBITA. IN TERRIS. PROEMIA

MORS. IMMATVRA. IN. COELO

MATVRAVIT. AG. SOLVIT. ET

CVI. MAGNAM. APVD. OMNES

LAVDEM. INTEGRITAS. Vitje

BENEVOLENTIAM. SVAVITAS

MORVM. CONCILIARET. IS. IN

IPSO. Jetatis. FLORE. SVBLATVS

INGENTI. MOERORE. SVIQVE. DESIDE

RIO. NOTOS. AFFECIT. VIX. ANN.

XXVII. D. VIII. 0B1IT. Vili. KAL. AVG.

M.D.LXXXVH. FAVSTINA. SVBACTA

RIA. NOB. ROMANA. FILIO. DVLCISS.

VINCENTIVS CARDVLVS. FRATRI

SVAVISS. MVLTIS. CVM. LACR. P0S8.

2) In cotesti tempi, per usar l' espressione di un umanista, la casa dei Prelati romani era sicuro porto ove approdavan le lettere le scienze e le belle arti. Infatti, per nominarne alcuni, Piero Valeriana fu accollo e protetto da Francesco della Rovere Vescovo di Torino. 11 Bibiena, poi Cardinale, andò segretario presso l'Emo. de Medici, essendo al Pontificalo col nome di Leon X. Il Caro servi coli' istesso officio il Cardinal Farnese, il Itemi (iianimatteo Giberli Vescovo in Verona o Datario del Capa, Marcantonio Flaminio il Cardinal Rcginaldo Polo o dopo di lui il Cardinal Coutariui. Alessandro Tassoni il Cardinale Ascanio Colonna Vicere di Aragona, Uberto Decembrio, padre di Candido ed uomo dottissimo, il Vescovo di Novara Pietro di Candia. Niccolò V nella sua privata condizione andò a' servigi del Cardinal Niccoli Albergati Vescovo di Bologna; e cosi ne potrei noverar mille tutti di nome grandissimo.

5) Che il Cardoli stesse in ufficio appo Leone X si ha per la vita inedita della Beata l.onnina Cesi scritta da Clicrubiua Eroli, della quale vita conservo copia con me, e che forse daremo a luce in cotesta Miscellanea.

Orazione di Francesco Cardoli da Narni ne' funerali dei. Reverendissimo D. Ardicino Secondo de la porla Cardinale Aleriense suo padrone.

Se avessi voluto, illustrissimi Padri, far conto della mia calamità, non solo rinunzierei ora a un modo di dire infausto e lugubre, a un'orazione ingrata e penosa, ma eziandio me ne starei tutto in isquallore, in piagnistei, in gramaglie: cosa che scmbreria più conveniente, e che sarebbe a me più deside rabile dopo morto Ardicino, al quale io mirava fiso come a chiarissimo raggio di virtù, e il quale rispettava siccome accrescitore. e quasi regolatore d'ogni mio studio e fortuna. Nè dico questo, perchè non mi abbia presenti i mondani casi e la fragilità della nostra natura, ma perchè senza lui m'avveggo dover menar la vita oscuramente. ed avere ogni mia speranza ogni mio consiglio perduto; e in tal guisa perduto che oggi mai, nè alcuna buona ventura può farmi felice, nè alcuna rea vie più miserabile. E chi non si sdegnerebbe meco a ragione, se or potessi sfoggiar nel dire privo come sono di quel Signore, il quale sembrava dar lena a mie parole quante volte le tenni nel vostro convegno? O speranze deluse! O miei disegni al ventol A questo dunque riuscirono i miei voti che io rinnovellar dovessi e a me la piaga, e a voi il  desiderio e la memoria di quel gran personaggio, la cui disgiunzione quanto sarà più lunga, tanto più malagevole e grave infelicita fin sopportarla? Ma poi che la mia disgrazia vuoile così che dettar dovessi l'elogio funebre di colui senza il quale reputo amari i miei giorni, vi darò principio per secondar coloro ch'ebhono a me imposto si lacrimevole incarco. Chieggovi soltanto in grazia, illustrissimi l'adri, che stimiate essermi io tolto cotesta soma meglio per isfogar le lagrime die non per far pompa di eloquenza. Qualunque cosa pertanto io tralasci ( chè a stendermi in parole sono impedito dal dolore ) la benignità e cortesia vostra mei farà buono. Tra le lagrime e i singulti ò malagevole assai il favellar compiutamente d'un esquisitissimo personaggio. In Novara città d'ogni bene abbondevole, e di dottissimi uomini ripiena nacque Ardicino di molto nobilissimi parenti: il padre della famiglia della Porta, la madre de" Visconti. Da questo lato durò la nobiltà della stirpe sino a'tempi nostri per non interrotto corso di onori di regno e di chiare geste. Da quello k fresca ancor la memoria dell'avo del nostro Ardicino uomo in ambe le facoltà legali per quanto dava quel secolo peritissimo. La sua virtù acquistò fama nel Concilio di Cos tanza, quando i principi elessero fra tutti lui solo a chi affidare qualunque negozio. Nella qual congiuntura si governò a dir vero in tal maniera che come Monogamo 1) venne di poi per Martino V. eletto Cardinale. Raccorderei qui le sue illustri e stragrandi virtù, se il nepote non ritraesse dell'avo in modo che questo in quello, come in ispecchio, puo:'si ottimamente raffigurare. Fin dalla prima età avendo Ardicino esercitato nelle lettere il suo ingegno egregiamente da natura ordinato, in quelle pose tutte le mire per lasciare a' suoi posteri que" medesimi fregi che l'avo a lui. Io gl'intesi dir più volte che, quando erasi proposto a modello eccellentissimi personaggi, avea rinr v; orito la mente e l'animo con la memoria del suo avo.

Molte lusinghe acconce a far sopire e addormentar la virtù procacciò a noi la stessa natura: molte vie sdrucciolevoli fece aperte all'adolescenza nelle quali, s'ella camminar potesse senza mai inciampare, sarebbe un miracolo: di molte cose e varie e dilettosissime ci fe' pur copia, dalle quali non solo quell'età tenera, ma eziandio la più matura verrebbe invescata. Ma Ardicino s'ebbe cotanta gagliardia d'animo,

1) Morganatico vuol dire ch'ebbe una moglie sola, come bigamo due mogli e poligami più di duo: parole che derivano dal greco. I Monogami secondo i Canoni poleano essere sacerdoti, i bigami e i poligami no. L' istessa legge era nell'aulica disciplina della Chiesa per le Diaconesse; perchè i bigami mostrano quasi di essere incontinenti, e perchè Cristo ebbe una sola sposa, cioè la Chiesa: la prim.i è una ragiono morale e l'altra mistica.

Tanto bella guisa di virtù e continenza clic gittò a tergo ogni diletto, e tutto il corso della su'adolescenza fornì nell' affaticale il corpo e applicar l'animo; perchè dietro le orme dell'avo non deviasse mai dal retto cammino della lode. E così rapidamente gli venne fatto superar tutti nel vanto dell'ingegno che diè saggio al pubblico della sua grande perizia nel diritto canonico e civile.

2) In exompìari scriptum est Nephitos et Cathecuminum.

5) In esemplari Iogilur mi$vs, soil emendaudum munus.

Non era appena uscito di adolescente che \enne unanimemente richiesto a vescovo di Novara non solo dal Clero, ma anche dal Comune. Laonde puotesi agevolmente comprendere quanto gran fornimento apparisce in lui di virtù, mentre davaglisi tanto gran fiducia di buon rettore. Se furon reputati degni di lode Cipriano da Ponzio Diacono, Martino da Severo Sulpizio, Ambrogio da Leone perchè il popolo gli ebbe acclamati Vescovi, mentr'erano i primi due ancor Neofiti,e l'altro Catecumeno, e perchè io non dovrò tenere a cosa straordinaria che '1 nostro Ardicino ancor giovanetto fosse a pieni voti designato Vescovo di quella Città che per uomini savissimi assai fioriva? E il voler commettere questo sì grave officio a persona quasi adolescente non dava pruova dell' altrui presentimento che quegli sarebbe riuscito il saldo usbergo e scudo della religione e della Chiesa? Il che nell'avvenire fece chiaro e aperto in molte cose. Conciosiachè in Firenze. essendo Vicario dell'Arcivescovo, diede tal testimonio e segno della sua virtù e del suo coraggio; cioè promulgò l'inderdetto di Paolo II., al che non s'era mai niuno arrischiato; e con grandissimo repentaglio della sua vita sostenne e difese contro i Principi della città l'autorità del Pontefice, e la dignità di questo ragguardevolissimo Senato. Con la rinomanzajJi cotal fatto guadagnò in Roma l'amorevolezza di Paolo Pontefice, il quale avea gia di lui altissimo concetto.

Non havvi uomo al mondo tanto ignaro d'opni cosa che non comprende i beni di fortuna esser temporanei. La virtù sola ha salde e profonda radici, nè vicenda di tempo può sbarbicarla giammai donde allignò. Ardicino in tutta la vita adoprò in modo che quanto maggiore fosse il variar della sorte, tanto più crescesse in lui di giorno in giorno la dignità e il merito. Per opera di Sisto IV. messo nel novero dei Referendari vien nominato Vescovo di Leria. Recatosi in seguito come Legato prima in Ungheria e poi in Germania, così adempì la sua legazione e i mandati pontifici che superò e l'opinione di chi l'avea inviato, e l'eccitazione di chi Cavea ricevuto. Fra l'imperatore e il re Mattia ardeva una guerra ostinata feroce; e l'odio faceasi più vivo per la strage de" soldati, e pel guasto delle terre Di tanti che furon me si in n.ezzo a trattar l'accordo non ottenne mai niente nessuno.

Il solo Ardicino col suo ingegno e con la sua prudenza potè mutare in pace e alleanza una dannosissima guerra. Mediante cotal beneficio egli autor della pace obbligossi eternamente coloro che poco prima avean la pace in abbominio. Mi passo delle turbolenze sedate in Terni; mi passo de' Norcini rappaciati dopo lunghe discordie; mi passo di Perugia. dove chiuse ogni via alle sedizioni; mi passo degli abitanti di Città di Castello e di lodi parte de'quali ebbe col suo potere repressi, parte con le buone amnansati. Kd affinchè il gran uomo, fatto a posta per faticare, non mai restasse senza brighe e faccende, Sisto, chiamandolo in lloma, ordinollo suo Datario Con quanta giustizia, con quanta fede cotesto impiego amministrasse avrebbelo fatto ben conoscere 1" istesso Pontefice, se non gli veniva la morte a troncare i bei disegni. Successo Innocenzo, conferigli in prima la prefettnra de' negozi delle Legazioni; in seguito, fattoi Datario, il collocò nel vostro Collegio non mosso mica dal favor de' potenti, non dalle istanze di pochi amicissimi, ma dal consentimento di tutti voi altri. È in verità grandissimo decoro che quell' oliare fosse a lui conferito per rispetto della persona non della stirpe, per merito di costumi non di sangue, per esperienza di virtù non per irido di nobiltà; ciò non ostante sari meglio pel suo splendore il dire come esercitò il Cardinalato, che non come l'ottenne. In questa dignità visse porli" anni, ma in modo che non lascio nulla da poter tsscre aggiunto a' simi ineriti, se 1" avesse ancor tenuta più a lungo: e in tal guisa seppe il rigor delle leggi conciliar con l' equità che sembrava esperto tanto della scienza, (pianto dello spirito delle leggi medesime. Fu poi d' una fede e giustizia sì salda che in qual parte giunsero i diplomi da lui sottoscritti ivi penetrò la sua fama. Molte altre cose su questo tenore, essendo noti; a ciascuno non abbisognano di alcun fregio di parole. Passo ora alla vita domestica.

Nelle occupazioni di gran momento 1' uomo savissimo assegnava a ciascun negozio Tora sua Avea pur l'ora del faticare, del compostamente ricrearsi; e quanto tempo avrebbe chiunque altro impiegato nel trangugiar senza più soverchia copia di cibi, tanto egli ne toglieva a mensa per riandar gli studi" delle lettere. Cornelio Nepote si loda di Pemponio Attico, perchè niuno pranzò mai in sua casa senza udir leggere; affinchè i commensali desser pascolo tanto all' animo quanto al Tentre Elio si loda di Adriano, perchè a tavola tenea sempre letterati. Ambrosio Diacono Ateniese scrive al Calcentero.

2) Calrenlero. Fu questo un soprannome dato a Ditimo grammatico Alessandrino per essere instancabile a leggere e scrivere., giacché, secondo Snida, lasciò scritti 3500 volumi. Calcentero di origine greca vuol dir propriamente intestini (ìi bronzo, e metaforicamente instancabile.

mai preso cibo senza lettura, non mai smmo senza die uno de' suoi fra tri li gli recitasse qualche squarcio sacro ad alta voce," affinchè la lettura tenesse della declamazione, e per la declamazione si ritenesse meglio la lettura Con quai parole adunque non leverò io a cielo Ar. dicino la cui mensa parca sorsente e semenzaio di tutte dottrine. Durante il (lesinare non faceva altro che ascoltar con attenzione quanto mai veniva letto, che propor sempre una qualche quistione. difenderla dal lato giusto confutar bel bello gli errori degli avversari, far conoscere a'disputanti, piuttosto che vincerli, le armi di ferirlo Dio immortale che gran beneficio mi dèsti mai nel farmi vivere in quell'albergo di sapienza! Quel tanto che io so di lettera l'appresi colà; e questo confesserò e raccorderò per sempre. In lui trovavi cortesia congiunta a severità, gravità mista a dolcezza in modo ch" era malagevole intendersi, se più amere che venerazione gli poi tassero i suoi serventi. Con tanta moderazion d' animo tollerava la folla de' piagnoni e la tempesta de' richiami che, anche volendo, non potea adirarsi. Va, perchè la sua carità non sembrasse parto di ostentazione, secretamente sovveniva del proprio ben molti indigenti. L' unico suo pensiere essendo la religione, stimò buona per sè la vita monastica; non perchè rolesla del prete non sia più utile al Ci'tìl consorzio, ma perchè quella del monaco sembra più espedita e sicura all' eterna salvezza: tanto più poi ch' era sostenuto dall' autorità di uomini eccellenti. Con ciò sia che ìla-ilio .Ma.no Vescovo di Cesarea in Cajipadocia, come narra ii suo discepolo Auiilochio. si ritirò in un monistero. Il Vescovo Gregorio Nazianzeno, uomo a' suoi tempi di grandissimo 'ngegao ed eloquenza, elettosi '1 successore, in un ritiro menò vita da monaco. Il Sommo Pontefice Celestino, messo tutto in non cale, fece vita da romito. Pier Damiano, che scrisse assai cose nella qualità loro stupendissime, rinunziò al Cardinalato per darsi al monaco. Dietro l'esempio di costoro avria voluto Ardicino abbracciar per se tal condizione di vita clr eragli stata sempre sommamente a cuore Quante suppliche non fec'egli a Sisto IV? Quante continue e ferventissime istanze ad Innocenzo Vili per averne il permesso? Quante, quante volte, illustrissimi Padri, allorchè leggevasi in Giovanni Casciano, che descrisse i costumi e le vite degli Anacoreti, non vid" io costui, io stesso rapito fuor di sè; quasi nell' estasi della sua mente gustasse in vero la dolcezza e tranquillità di quella vita? Alla fine partì, e secondò l" ispirazione del cielo. Richiamato subito da Innocenzo con decreti severissimi e per gli stimoli vostri, qual ne fu la condotta? Visse sempre coerente alle sue massime. Imperocchè, lasciando a parte il digiunar che facea di tre dì in ogni settimana, e la giornaliera asprissima disciplina, egli, senz'aver con sè camerieri, e lasciata ogni morbidezza, su durissimo letto si metteva a riposare: se pure sia da dirsi riposo quello che ogni notte sino a giorno il tenea in continue orazioni. Cadde gravemente ammalato. Ma con qual rassegnazione, con qual istupore de' medici non sopportò cjjli il male pel lungo spazio ili cinque mesi? Spesse volto il terror della morte, e gli spasimi c\w. danno i rimedi fanno l'uomo mancar d'animo. Ma egli. quantunque spossato affatto della persona, pur tuttavia serbava l'animo intero, e la ultima sua dipartita fu eguale alle decantate morti degli antichi. Io, io vidi !ni spirare con sì intrepido aspetto che parea non mica lasciar la vita, ma un domicilio per l' altro. Ah io fui quegli, o Ardicino, che mirai spegner le tue luci? Io che toccai il tuo corpo esangue, quel corpo eh" era a' miei occhi qual vivo simulacro di virtù? O giorno funesto, e per me eternamente lugubre ! Oh I" acerba ferita che toccò alla tua natrial Onaltr'anni fa venne a lei annunziato la tua promozione al Cardinalato, e mo' nella medesima stagion d' allora le si annunziano le pompe del tuo funerale L' infelice e disgraziata casa paterna dove troverà altri ornamenti e conforti da poter godere e stare in festa. Dove è la tua adolescenza nobilmente vissuta? Così adunque calcavi le orme dell' avo che volevi comun con lui anco il sepolcro? Dove son gite le tue belle fatiche per gli altri. che o di giorno o di nolte non mai faceanti riposare? Dove le dignità alle quali, secondo il crescer de' meriti gradatamente t' innalzasti? Dove le mani vendicatrici dolla giustizia che difesero la fama del tuo nome? Dove i buoni studi' che fiorivan la tua magione? Tutto in un sol punto insicm con te s' e fatto muto: tutto con un solo assalto ci ha la morte involato: tutto tutto un' ora sola ci ha rapito. Oh sì, sì ricordomi, ne mai lo scorderò, delle lagrime che spargesti, quando dal chiostro fosti in Roma richiamato. Ora ringrazi la morte che t'ebbe donato quella pace e dolcezza di spirito che ti negò la vita. Ora comprendi quanto dia miglior guadagno una buona coscienza che una bella fama. E a tutti quelli che stanno rattristati per la tua morte riuscirà meno arrnvo il desiderio della tua persona col contemplarne le opere virtuose. A me poi una cosa soltanto reca conforto che. se dalla vita ben si argomenta la line di ciascuno, son certo che godi la eterna gloria; e tu, che appo gli uomini ti brigasti forte pel maggior prò della Chiesa, ora appo Dio ti brigherai con prieghi per la sua durata. Io, se mancai qualche fiata al mio debito, se ti feci qualche sgarbo, te ne chieggio perdono. Tutto quel ch" io poteva ti diedi; e, se avessi avuto di più, anche di più t' avrei dato. Al presente non posso darti che queste lagrime infelici. Quel che mi resta, quel che posso, quel che farò si ò di predicar le tue laudi finchè mi basti la vita.

b) In Codice legitur actione. in Manso oratione. Sed cuique Codicis error patei; nam Caesar fuit procal dubio Francisci Cardali oratione, non unione permolns.

Massimiliano Re de' Romani sempre Augusto al serenissimo e carissimo fratel suo Federico Re di Sicilia e di Gerusalemme.

Nel nostro cospetto, e degl'illustrissimi Principi del sacro romano impero, avendogliene noi commesso il carico, trattò la causa della libertà d' Italia Francesco Cardoli da Narni nostro Segretario con una grave ed eloquente orazione, per la quale, a parer comune, procacciò tanta lode che forse mai ninno in Germania. E siccome ci persuase ancora di guardar da ogni offesa il regno della serenità tua, della quale con singolar devozione cercò di ben meritare, per tanto non è paruta a noi cosa indegna metterla a parte di ciò, affinchè comprenda che, seb bene noi da gran pezza avessimo l'animo rivolto alle cose d'Italia, pure stimolati per la costui orazione decretammo unitamente a cotesti Principi una spedizione a favor della Italia.

Dalla nostra città imperiale di Augusta il 15 luglio 1500.

Francisci Carduli Narniensis oratio ad Marimilianum Caemrem Angustimi in convento, Vindrtico Principimi Germanorum dieta pri liberiate Italiae, sive pro Ludovico Sforila Mediolani Duce, anno Jubilaei mense Julio .

 

Casa Cardoli  nei pressi di San Domenico

SOPRA FULVIO CARDOLI GESUITA

CON APPENDICE DI DUE SUOI SCRITTI

 

Stemma Cardoli  nei pressi di San Domenico

Non dubito affermare che uno de' primi e più forti ingegni di Narni sia stato Fulvio Cardoli Gesuita vissuto nel secolo XVI. Egli nacque da Dionisio e Agnese Cardoli nel 1526. poch' anni dopo la morte del suo famoso antenato Francesco, di cui demmo innanzi la vita. Forse la somma fama di quest' uomo misegli nell" animo un gran desiderio degli stud'i e della gloria, posciachè nulla così giova a piantar buoni germi nel cuore e nella mente de' fanciulli, e stimolarli a ben fare, come i domestici esempi. Vedendo i genitori la buona natura e la squisita mente di Fulvio, piuttosto che tenerselo in casa, dove facilmente non sarebbe a nulla riuscito, si consigliarono mandarlo in Padova a cura de' PP. Gesuiti, i quali tenean quivi un collegio de' più reputati che fossero in quel tempo. Egli entrovvi di buona voglia, e datosi interamente agli studi e alla pietà, cercò in questo modo contracambiarc a' suoi parenti delle premure e del sommo beneficio ricevuto. E sommo certamente si è il beneficio d'essere educati nel sapere e nella virtù, e felici que" giovani che il conoscono, e ne san trarre profitto; poichè V uomo sapiente e virtuoso possiede in se tutti i beni da non poterglieli mai rapire nò il capriccio della fortuna, nò la malignità del mondo; l' domo sapiente e virtuoso non ha bisogno nò della vile adulazione, nò del raggiro per montare in alto, nò delle ricchezze o del favor dei re per esser beato; e si ride di quelle istesse sciagure che fanno piangere e rammaricare gli stolti.

Agnese e Dionisio rallegravansi assai nell'udire il progresso che facea Fulvio negli studi e nella bontà-, ma non so con quanto soddisfacimento e piacere udiron la sua risoluzione di volersi per sempre sequestar dal mondo e rendersi Gesuita, per vie meglio applicar 1' animo alle scienze e alle cose celesti. Toccava appena il quarto lustro allor che fecesi della famiglia di S. Ignazio; ed era già molto innanzi nella cognizione della lingua greca e latina, della poesia e dell'eloquenza. In seguito diede opera alla Filosofia alla Teologia ed alla scienza archeologica, la quale non avea allora sì largo campo come ora, nè la critica la rischiarava molto del suo lume, chè la brama dello scavar monumenti antichi e studiarli in Italia e fuori allora soltanto incominciò per poi infinitamente aumentare ne' secoli futuri. Venuto in età maggiore lesse pubblicamente alcune di quelle discipline con lode e ammirazione di tutti. E nel celebre collegio romano specialmente, dove il Generale tennelo per lungo tempo ad ammaestrare i precetti rettorie! e poetici, si procacciò fama solenne immortale. Nè soltanto in voce mostrò la sua eccellente perizia in belle lettere e in altre facoltà, ma pure negli scritti dati a stampa, o lasciati inediti; parte de' quali perirono nell' incendio che, anni fa, distrusse un lato della ricca biblioteca del detto collegio.

Per la sua gran rinomanza s'invaghirono i Pontefici e Cardinali di averlo tra loro come Oratore; laonde in alcune solennilà festive e in altre occasioni recitò per molti anni nelle cappelle pontificie e altrove alcuni sermoni latini che fecerglijonore. E in una straordinaria adunanza disse avanti a' PP. Porporati un calzante discorso per persuaderli a prender le armi contro i Turchi, e far lega con gli altri Principi Cristiani.

E siccome cotesto discorso e un bel documento storico non conosciuto, e siccome nelle vite degli uomini illustri narnesi piacenti produr qualche saggio dei loro scritti o inediti, o malamente editi, come feci nella vita di Francesco Cardoli, cosi damilo iniine delle presenti notizie. Son certo che gradirà a tutti, ma specialmente a chi volesse rifare con più senno e verità la storia di quella sanguinosa e terribile epoca che ci ricord.i il barbaro in Europa. In esso discorso, a dir vero, gli argomenti a persuadere son pochi e brevemente dichiarati, nè vi ravvisi quel nerbo e splendore di eloquenza per cui lodammo sommamente I' orazione di Francesco Cardoli. Ma per iscusare Fulvio potrei dire, essere ordinaria consuetudine che i discorsi, pronunziati avanti i Pontefici e i Cardinali nelle cappelle pontificie e in altri luoghi, sieno brevi e sugosi, per cui 1' oratore dee studiarsi di tratture i punti principali del soggetto dipingendoli, per rosi diro, a botte e a tocchi in abbozzo e non già fmitamente In secondo luogo a persuadere ai Cardinali l'impresa contro i Turchi non si richiedeva nè tanto lungo, nè tanto ragionato discorso poichè già sentivano essi e tutti un forte spavento di que' barbari, sapevano le loro infinite e nuove crudeltà e ribalderie, le loro minacce d' invadere lo slato pontificio, e come fosse necessità di prendere qualche forte e sollecito provvedimento. In ogni modo anche dal lato dell' arte esso discorso merita qualche cosa, quantunque io lo apprezzi più per via del soggetto. secolo e mezzo dopo la morte del Cardoli. si può argomentare che il costui credito in vita, come poeta e latinista, fosse grande assai, poichè lui trapassato, durò per tanto tempo; e durerebbe ancora, se non fosse spento nei più l'amore il desiderio e la stima verso la nobilissima e immortale lingua del Lazio, della cui veste abelli quasi tutti i suoi.

Il  Padre Ribadeneirà, parlando sugli scrittori della Compagnia di Gesù, dà nota di alcune opere del Cardoli così:

Hhtoria de invertitone Sanctorum Mnrtyrum Abundi et Abundantii et de t rendaci ione semita Romae in Aedem Farnesianam Societatis lesti cum notis ed Historiam - Romae apud Franciscum Zannetlum 1584 in 8° Libricciuolo di poche facce adorno di rami. e Si raro che nelle auzioni di Roma fu pagato molto sopra i! suo giusto valore, come io stesso rie fui testimonio. Il Ribadeneira lasciò nel titolo queste parole Marciani et Joannis ejus filli.

Passionem Sanctorum Afartyrum Getulii Symphorosae ac teptem filiorum, quam notis ac iligressionibus illustravit de Tiburis antiquilate disserens erudite. Ibidem 1588. Anche nel riferire questo titolo fu poco diligente il P. Ribadeneira, avendolo io letto a cotal modo - Passio Sanctorum Mnrtyrum Getulii, Amantii, Cereali^, Primitivi, Symphorosae ac septem filiorum noti.* et diyremoniòus illustrata Fulcii Carduli presbyteri e Sociclate Jcsu - Romae apwl Francisenm Zannetlum 1588 in 8" Questo pure è un piccolo e raro libretto che consta di 192 pagine, dedicato alla Magistratura di Tivoli della qual città nella nota settima fa una breve Sugosa e critica istoria, quantunque non priva di errori. Una copia fu da me acquistata all' auzione di Roma

Epigrammata ipsius aliqtta a!l aìiis sunt edita, et nonnulla reperiuntur in Pelro Bargeo super ObelUcum a Xùto V in Area Vaticani positura. Gli epigrammi stampati nell'opera del Bargèo, che illustrò l'obelisco di Cajo Calligola messo da Sisto V nella piazza di S. Pietro, sono cinque: i primi tre di un sol distico, il quarto di quattordici, il quinto di dodici. In essi puoi conoscere in ristretto la vera storia di quel famoso obelisco ampliata poi dal Bargeo. Tre altri epigrammi del Cardòli, nè di più ne conosco stanno allegati nell' opera con titolo - Carmina il . lustrium Poetarum ìtaliorum, tom. III; Florentiae 1.719. Typis Regiae Celsitudinis apud Joannem Cajetanum Tartinium et Sanctem Franchium - I primi due, che sono composti di cinque distici l' uno, cantano le grandezze e le ruine di Roma; il terzo poi, fatto a sei distici, si rallegra della morte del celebre Ugonotto Gaspare Coligny prefetto dell" armata francese, e che venne ucciso per ordine di Carlo IX nella famosa strage degli Ugonotti.

scritti.

Scripsit prae'erea, sed non ididil oraliones multa* in Cardinalium conventu habitas - Credo che il Hibadeneira voglia in questo numero comprender pure le sette orazioni che trovai 1' anno 184G in un codice della biblioteca di S. Marco di Venezia, e che hanno questi titoli - Oratio de laudibu* D. Stephani Marlyrum Principia in sacello Pontifici" habita 1555 ad Paulum IV P. M. Vaticana II. - In fcslo sanclissimae Trinitatis Oratio in taccilo Ponti [iris ha'iita 1558 ad Paulum IV P. M. Vaticana III. - Oratio de Uro Trino et Uno ad Pium V Pont. Max. in sacello Vaticano habita anno 1568 oda co Kal. Junii - Oratio in Natali Dhi Nostri Jesu Christi - Ad Pium V Pont. Max. Oratio - Ad Cardmale! contro Turcas Oratio - De Sanclo Joanne Apostolo ad Pium V Pont Max. Oratio - Vedi il Codice della Classe XI n. LXXV, dove son pure diverse orazioni del Navagero e di Lorenzo Giustiniani, nobilissimi e famosissimi letterati.

Poemata varia, una tamen prodiit cjus. Io non posso dir nulla su questi poemi, perchè non vennemi fatto trovarli.

Oratio de passione Domini ad Pium V dieta anno 1578 *). quae cum aliis ejusdem argumenti impressa est. Nemanco cotali orazioni mi son note. E fm qui il Ribadeneira; ma io posso aggiungere nuovi titoli di altre opere di esso Cardoli.

Vita di S. Giovenale primo e secondo, e di S. Cassio Vescovi di Narni - Questa operetta è così ricordata dal Jacobilli nella sua biblioteca Umbra, ed è pur ricordata dai Bollandisti, e spesso e con lode dall' anonimo che dettò l'istoria de' santi Ciovenali, stampata in Roma appresso Francesco Cavalli 1616. Un esemplare antico ms. di queste vite 1' ho presso di me, ed il loro vero titolo è - Sancii Juvenalis Narniensis Episcopi vita ex Equilino Surio et antiqnis Codicibus manuscriptis desumpta a R P. Fulvio Cardulo Narnien. e Spietate Jesu aucthore. - De sanclo Cassio Episcopo Narnien. ex Beati Gregorii Lib. 3 Dialog. e. 6.

Quest'anno è sbagliato, e forse dovea dire 1368, giacehè Pio V mori nel 1579.

Notizie sulla città di Narni - Nel tom. XIV pag. 558 e segg. della collezione del Dorio, posseduta dalla biblioteca dei Seminario di Fuligno, è inserta una lettera, dove parlasi brevemente di Narni e de' suoi uomini illustri, e che fu indirizzata da uno di casa Cardoli a persona innominata. In essa lottera, che per buoni argomenti attribuisco a! nostro Fulvio, non havvi nulla di molta importanza, salvo le poche notizie, che già registrammo, sulla gente di esso Cardoli.

Origini e antichità di Narni; ma non dubito che il vero titolo fosse - De civitatis Narniae, origine et anliquitalibas eie. - Mons. Gaetano Marini negli atti e monumenti de' fratelli Arvoli (par. 2. pag. 142. Roma 1795, presso Antonio Falgoni) ci fa assaporo d' aver lui letto nella libreria Albani di Roma, della quale era custode, cotal ms. dei Cardoli, e ne cita un' antica iscrizione. A giunge inoltre, che quel manierino era tutto ili carattere dell' Ostinio famoso antiquario: il che ci assicura essere stato di qualche pregio, altrimenti quel!' uom dotto non sariasi preso briga di copiarlo, lo non lasciai di cercare e ricercare in .detta hbreria siffatto libro utilissimo per Narni; ma non mi accadde trovarlo. L' abbate Cicconi bibliotecario, e mio amico, conghietturò che (osse ito a finire in Francia per lo spoglio che fecero i Francesi di essa biblioteca. Ma nella biblioteca Barberini (vedi l'indice alla parola Narni,; abbiamo un qualche resto di detta opera, giacchè un ms. da me ivi trovato ha in fronte - Ex notiti Fulvii Cardoli S. J. presbyteri Narniensis de Civitatis Narniae origine et antiquilalibus. Noi produrremo anche questo breve scritto tradotto dopo V orazione contro i Turchi, e lo produciamo non tanto perchè appartiene al nostro Fulvio, quanto perchè vi si legge alcuna rara notizia buona per la storia di Narni.

Manuscritto latino miscellaneo posseduto un tempo dall' Archeologo Diamilla, e nell' auzione della costui bella libreria, fatta in Roma nel I' aprile del 1852, passato alla biblioteca Vaticana; il cui custode, sapendo che io avrei comprato quel libro, mi fe' pregare di non met termi in gara con essa biblioteca, e cedetti alle sue voglie. Il nominato ms. contiene le seguenti materie da doverle tutte attribuire al medesimo autore.

Dialogus de studiornm fine, habitus Romae in Temp1o Societatis Jesi", circiter Kal. Novemb. Anno Uni Art. M. D- L. XIIII.

Cinque lettere latine scritte a nome di Pietro Perpignani a Berardino Castoreo.

De Oratore Antiolaliones in librttm primufn.

De Oratore, per li. P. M. Fulvium Societatis Jesu Professorem. Die lunue pa lectio: Mensis die Novembris 6. 1564.

In 2m libnim de Orai. Exordii et operi* argumenla.

6. Avium et aliorum animalium vocet.

7. Nonnulla adagia.

8.Sequuntur lecliones et annotationes in 3. libr. de Oratore Cie. quat legit die lunae post octavam Pascatis. Incaepit die 30 Aprilis 1565.

9.Annotationes ih quartum librum Georg. A. R. P. Fulvio di$ 4 /"hit 1565.

10.Philosophia quid sit ex Ammonio potissm P. Perpiniani.

11.Philosophiae partes ex Ammonio potissm eodem P. Perp*

19.Annotationes in Cic- oralionem pro Muraena a P. Fulvio societatis Jliesu pub. fihaetorices professore, Romae 2 Maij an. Dhi 1565.

Queste sono le scarse notizie che potei raccorre sulla vita e sulla Opere del P. Fulvio, il quale morì a Roma, con ufficio di Operano, nella casa de' Professi il 5 maggio del 1591 in età di anni 65. Nei suoi scritti, per quanto mi pare, mostrasi grave robusto erudito, ma non sempre facondo dicitore. La lingua poi che adopra, d'ordinario latina se non è della più elegante e ricercata- è al certo quasi sempre bene istudiata e corretta per cui può mettersi fra la schiera di quegli egregi latinisti che nel secolo XV e XVI fecero rivivere in Italia il secol d'oro di Augusto.

Proemio dell’orazione

Dopo i Vandali gli Unni gli Eroli i Goti e altri popoli barbari o feroci io credo che il più crudele e temuto nemico dell' Europa sia stato il Turco, il quale con numeroso e ben agguerrito esercito e flotta navale venne vinse devastò e desolò molte sue belle e ricche contrade, commettendo iniquità nuove indicibili, sicchè il solo nome suona auc'oggi nel mondo terribilmente spaventoso. Ma venne e vinse non per proprio senno e valore, ma per nostra stoltezza, perchè trovò le nostre province inferme indebolite divise dai mali costumi e dalle discordie sanguinose de' Principi, alcuni de" quali, a vendicarsi della prepotenza del nemico, o per crescere in dominio, perfidamente e senza curarsi della ruina della nazione, si collegarono con esso Turco non ostante che '1 sapessero malvagio infido traditore citibondo del sangue altrui, specialmente cristiano. e smisuratamente cupido di dominare il mondo con una mal sognata monarchia universale. E allorquando i regnanti di Europa, spinti da sommo pericolo e somma paura, furon costretti mutar consiglio e unirsi o tutti o la maggior parte assieme per rintuzzare la stolt'audacia di esso Turco, questi dovè cedere il campo e rifuggiarsi in casa propria convinto col fatto che non il maggior numero de' soldati de" cannoni delle navi e degli altri fornimenti danno la vittoria e il trionfo nelle battaglie; ma il maggior coraggio e la maggior arte.

Non bastaron due secoli a liberarci dalle continue scorrerie e depredazioni del Turco, il quale, benchè più volte sconfitto, ritornato a toccare la sua terra natia, ne usciva, quasi nevello Anteo, con doppie forze e più formidabil di prima. Ma la celebre vittoria di Lepanto, riportata dall' ammiraglio Marcantonio Colonna, e avvenuta sotto Selim li ai 7 ottobre 1371; e assai più tardi ai 4 luglio 1(583, regnando Maometto IV, la disfatta presso le mura di Vienna furono i due colpi fatali che troncarono i nervi al nemico, e che lo resero per sempre impotente per mare e per terra, e cauto a cimentarsi con gli Europei, e venir tra loro a cercar ventura. Ma, se noi in questa tremenda tempesta non mai naufragammo, e potemmo alfine, dopo lunghi travagli e dolori, riparare in securo porto, dobbiamlo non tanto al valore e senno de' Principi Cristiani secolari, quanto all' ajuto di Dio e de' suoi Vicari terreni, i quali con paterne ammonizioni pacifiearon prima que' Principi discordanti, poi gli animarono alla santa impresa con voti e preghiere a Dio, con valevoli consigli, frequenti ambascerie, abbondanti soccorsi di armi di navi di uomini e denari procurati o nel suo stato o all' estro.

In questa luttuosa e tragica scena menarono onoratamente la lor parte anche i narnesi, spendendovi sangue denaro sostanze senno e parole. E fra gli altri sono da ricordare i tre celebri personaggi Galeotto Marzio, il Cardinal Donato Cesi e Fulvio Cardoli Gesuita; il primo giovò con le armi, il secondo col senno il terzo con l'eloquenza. Galeotto Marzio, come narrai nella sua vita. combattè valorosamente il Turco al fianco del nobilissimo re di Ungheria Mattia Corvino; il Cardinal Donato Cesi fu promotor zelante nel 1537 della lega contro il medesimo nemico; Fulvio Cardoli perorò con calda orazione l"iflessa •ausa alla presenza degli Eminentissimi Porporati. E cotona orazione ci proponiamo dar qui in luce da noi volgarizzata, perchè la reputiamo per un bello raro ed acconcio documento alla storia: il quale potria acquistare maggior importanza, se si tenesse fatto per consigliare e persuadere quella felicissima lega di Principi effettuata sotto il pontificato e le premure di S. Pio V, o che fruttò la memorabile e tanto decantata vittoria di Lepanto. Veramente non possiamo addurre su ciò argomenti certi; ma è lecito conghietturarlo dall' ordine esattamente cronologico con cui son trascritte nel codice Veneziano le varie orazioni dì esso Cardoli. Imperocchè all'orazione in proposito preceduu iti altre cinque: la prima e seconda recitate nel 1355 e 1558 dinanzi a Paolo IV, la terza nel luglio 1568, le altre due senza data, ma nel decembre forse di questo stesso anno alla presenza di Pio V, per cui 1' orazione contro i Turchi, che viene appresso, con molta certezza fu detta negli anni posteriori sicchè ci accostiam di molto, o possiamo anche entrare nei giorni gloriosi della nominata lega conclusa, 'come dichiarammo, nel 1571. E tanto più m' induco a credere dover essa orazione appartenere a siffatto tempo, perchè alcuni Cardinali, o per fmi particolari o per istolto consiglio, osteggiavan 1' impresa meditata da Pio V, per cui era mestieri scuoterli e vincerli per forza di eloquenti ragioni.

Ma a qualsiasi epoca essa appartenga, meriterà sempre singolar pregio. Mi duole soltanto che sia guasta in alcuni luoghi per colpa, come credo, degli amanuensi, il perchè molto ne soffre la sintassi. Ove mi venne bene la emendai, e ove no: mi cessai. Nulla meno fatti volentieri a svolgerla, o lettor cortese; che se non ne ritrarrai altro frutto, ti basterà di avere in essa meditato le strepitose e spesso dolenti vicissitudini mondane, la provvidenza divina che arcanamente e sempre destramente le governa, e così potrai imparare a sperare con maggior fiducia e coraggio in questa, quando esperimenterai nemica la fortuna.

ORAZIONE

AI CARDINALI CONTRO I TURCHI

Io tenni sempre per massima esser debito speciale, e fra' primi, d' ogni ottimo cittadino quello di ottimamente meritare della Repubblica, di soccorerla in sue vicende con tutte le forze e del corpo e dell" anima, di difendere con ogni guisa e di vele e di remi la sua chiarissima e amantissima patria dalle soprastanti procelle e naufragio, in somma di provvedere con tutta briga a sue strette necessità. E nel vero chi mai saravvi purchè non tanto sfornito di senso comune, uè tanto ingiusto giudice delle cose, il quale non conosca e pruovi in fatto, che debbesi per la salute patria, e per la comun difesa volontieri esporre ai colpi della fortuna le sostanze, l'ingegno, le forze ed eziandio l' anima istessa? 11 perchè avendo io sempre approvato in massima cotal guisa di officii, e anche, quando occorse, sollecitamente messi in pratica, così reputo dovermi a lutt' uomo e secondo mie forze adoprare di giovare alla Repubblica, di sostenerla vacillante pel gran peso delle calamità, affine che io non rifiuti un carico, tanto bello e necessario, nel momento istesso, in cui scorgo la tapinella fra tanti marosi in pericolo di naufragio. Con ciò sia che veggio i Turchi prendere in mira fra le altre  quelle che seguitali le parti di Cristo, facendola sopra loro quasi da carnefici, per le molte stragi delle medesime combattendo senza riserbo e timore, contro esse sempre più crudelmente avventandosi, sopra quelle spesso menando tanti e cosi sanguinosi trionfi, radducendo in patria le navi cariche di bottino strascinando schiavi anche uomini religiosissimi e Prelati santissimi, non facendo tra le cose divine e profane alcuna distinzione. Perciò avendo io cotesti fatti più spesso per altrui saputi, e alcuna fiata per me proprio veduti, non posso a meno Amplissimi Padri, di salire in questo luogo appo cui a bilia posta in nome de' Cristiani mi trassi, per querelarmi con esso Voi di cotanto fortunosi tempi, e istantemente pregarvi a dare eccitamento agli animi nostri troppo, a ver dire, in così rilevante negozio rilassati e svigoriti. Noi che sentiamo venir manco le forze della nostra religione; noi che la podestà da Dio concessane teniamo a guisa di spada chiusa in ^a^ina contro i dispregiatori del Colui nome; noi che traemmo origine da coloro i quali in qualche occasione vuollero meglio distrutte le L-tesse intere nazioni, che non macchiata d'ignominia la chiarezza del proprio nome, pure noi con danno dell' eterna salute sempre facciam le lustre di non conoscere la gran onta che recasi a Cristo da una razza di barbari oscenissima. Tratterò adunque sul genere di cotesta guerra da intraprendersi contro a' Turchi, della sua grande importanza, dell' imperatore a chi commettere l'impresa, e per forma tratterolla da farvi comprendere che negozio di tanto rilievo sia da preferirsi a tutte le altre bisogne della Repubblica. Temo, Padri Cardinali, che se cotesta spedizione contro a' Turchi oggi proprio non si decreta, essi, in abominio anco a Dio, penetreranno di soppiatto, e più presto che non vel pensiate, nelle nostre spiaggie: e già vi son prossimi. Egli non siffatta impresa ognor mulinando, a riuscirvi procacciansi per ogni parte validissimi mezzi nè in nulla parte la santità de' luoghi distorna le sacrileghe loro mani dal commettere nefandità Testimonio ne sia. a preferenza delle altre, quella una volta santissima città di Gerasalemme, la quale sittosto come cadde in loro artigli. quasi mansuetissima pecorella in bocca a crudelissimo lupo, perde sul momento il vanto di sua virtù: e mentre saria ancora la madre della Religion cristiana, ora spoglia in tutto di questo antico decoro, si porge maestra d'iniquità, insozzata com'è dal turpe lezzo de' barbari. Laonde, affinchè cotal peste, spinta a' nostri confini, non si propaghi, dobbiam prima, se nulla conserviam più di nostra purezza, tórre di molti provvedimenti- Nè per certo egli è da esser posti in non cale gl'impedimenti che per tal cagione soffrono g1' interessi di molti Cristiani, e a questi ogni pensiero e cura ci convien dare. Ne son testimoni tutti gli stranieri; ne son testimoni tutte le spiagge, in somma tutti i mari,  di ciascun mare tutti i seni e i porti. Qual havvi mai luogo su cotesti mari, il quale, avvegnachè guardato da poderoso presidio, possa dall' assalti) dei Turchi difendersi, o, poniamlo pure assai lontano, non sia a loro palese e per loro infestato? E chi fassi per mare senza pericolo o di morte o di servaggio? Qual provincia veggiam sgombra di Turchi ? Quante città credete mai che si lasciassero pel solo timore deserte? In antico fu costume del romano valore difender senza l' altrui soccorso la propria salute. E ora avanti il porto del Tevere voi la flotla nemica vedete. E come! osano accostarsi alle porte della cittàl Come! dan pur guasto alle vigne presso le mura ! Oh calamità di nostra stirpe miserabile! Oh condizion di tempi deplorabile! Oh nostra neglige;;, u vituperevole! Quando poi un drappello di Turchi cacciasi dentro ad alcuna terra, qual contagio di questo più reo? Qual furore più pazza' Vedrai del continuo le ricchezze dai barbari involate, le messi atterrate, i bestiami rapiti, gli uomini vivi abbruciati, le mura rovesciate, le case saccheggiate, i templi diroccati, tanti vecchi orbati, tanti bambini orfani, tanti lattanti dal petto delle madri strappati e poi in faccia loro squartati; e per ogni parte cotante e siffatte lagrime e stragi, senza far differenza tra le cose divine e profane. Dalle jniura per forza espugnate appariscono spesse fiamme che si propagano ai tetti, quindi odi il fragor dei medesimi in incendio, e un suono indistinto di varie grida, il ruinar delle case e de' templi, e lo scalpitar di quelli che fuggon via con la preda, o tornano a rifarla. E se in qualche oggetto contiensi più di lucro, gli stessi vincitori, menandosi le mani. sei contrastano; ovvero qua e là li vedi infuriare, gir con lena affannosa, macchinar mina a ciascuno, da tutto il volto spirar la rabbia, come serpenti con gonfie cervici con occhi sporgenti e dalle aperte fauci schizzanti veleno. Ma co' Turchi debbonsi le condizioni di pace trattare: ma qual condizion di pace può con quella razza di nemico trattarsi, il quale non ha altra sete che del nostro sangue. il qual sangue più fiate da lui gustato, ora in modo gli piace che sospira sempre tracannarne; e quando gli vien fatto averne, allora forte se ne gode, mettendo poscia noi in dileggio. E contra cotestui non è da cospirare, contra cotestui non debbonsi tòr le armi, contra cotestui non allestir gli eserciti ? E qual nemico di lui più crudele trovossi mai ne' tempi passati, e puotesi ora? E qual terra è buona soffrire a lungo questo mostro? Oh scoliamo una volta dal nostro collo il suo giogo togliam via quell' inveterata macchia, che, penetrando a fondo, ebbe il cristiano nome iscoloiato Mentre il Turco in sì brieve tempo ne afflisse con tanti mali, non solo non fu mai di sua scelleraggine degnamente punito, ma per taut' anni già regna, e cosi regna che oggimai non puotc più nelle sue spiagge tenersi ristretto, ma siccome smisurato serpente va per tutto il mondo avvolgendosi. E donde mai donde cotesta sfrontatezza dei nemici, o Padri Cardinali, donde cotesta audacia? E come finirà a reputazione del nome cristiano, se continuamente siam lo scherno de' barbari, se qu(sta genìa sbucata dall' inferno senza posa ci assassina? Nobilissimi Padri, vedete sì spesso le nostre legioni distrutte, le province devastate, le merci intercc'tate, e su queste cose eziandio chiudiam gli occhi, e c'infingiamo non saperle? Dov'è l'acume della nostra pietà? Ma badiamo di non affilar l'acume del loro furore con tanto infingimento che ci frutti strage e rilina totale. Ne commuovano almanco i tanti casi e i tanti infortuni de" popoli, i quali dalle scorrei io de' barbari son del continuo travagliati. A voi ricorrono i Principi del Cattolicismo. il vostro concorso implorano, la vostr' autorità ardentemente richiedono; e chi porgerà loro ajuto, se voi noi fate? Guardate che non sappia di somma crudeltà lo abban donar coloro, a cui non solo la Bontà divina impresse la propria immagine, ma pure insozzata di peccati ripurgolla col suo sangue, ed i quali ebbe a voi co' medesimi vincoli di religione congiunti. Oh stoltezza ! e tanta ingiuria sopportiamo. So alcun Principe, se alcun Re, se alcuna Città, se alcuna Nazione s' avesse la fama degli antichi Romani intaccata, questi non ne toglievan pubblica vendetta? Non gli erano addosso con la guerra? E cotanto oltraggio avrian potuto lasciare impunito? Quante e solenni guerre stimate aver quelli per simigliante cagione intraprese ? E questo Turco senza più ag ti malmena saccheggia la Cristiana repubblica, e noi teniam le mani alla cintola? Quelli per la salvezza degli alleali prendean le armi, e noi con la salvezza degli alleati trascuriam la nostra'' Quelli anco la più menoma ingiuria volean vendicata, e noi perduti tanti alleati, e per tanti stimoli agitati staremo a bada? Quelli, per non perder cose caduche, affrontavan tanti pericoli, e noi che potremmo procacciar cose durature, questo inimico lasciamo inulto ? Ma temiamo, a mio credere, il suo valore! Sì; cotesti nemici son robusti di corpo, ma, come le bestie, deboli di consiglio; al primo impeto son ulmini, ma, questo rintuzzato, nulla. E perchè dunque tante fiate nostre schiere sgominarono? Perchè noi stessi demmo loro le armi da ferirci, e non v' ha dubbio. Si prepara una spedizione militare contro a' Turchi: si radunano le schiere dei soldati, si stabiliscono i condottieri, si preparano e metton tosto insieme le macchine e tutti gli attrezzi necessarii da guerra; ma il culto divino, che sta incima a tutte le cose, è l'ultimo pensiero. E così avviene che, mentre non ci diam punto briga della religione, i nemici menan su noi solenne e glorioso trionfo. Ma di ciò un'altra volta. Ora eziandio sentiam la punta della spada Ottomana. Con 'quante [stragi quella barbara e ignobilissima gente non ci afflisse? Quai crudeltà non mise in opera?

In quante strettezze non ridusse il nostro stato? Che dirò delle sante città che redammo da Cristo? Adunque un tanto loro successo, alla qual cosa è cagione un tirannico potere tanto crudelmente procacciato, con tanto perfide scelleraggini e stragi strappato, dovrà forse loro attribuirsi, barbari come sono, a sentimento di pietà? 0 forse nell'ira di Dio pugnan contro noi, mentre sieguono la legge di Maometto? b forse il loro valore? E gente molle per lusso, e non per altro terribile che per le arti di rubare. E qual è dunque la cagione de' suoi trofei? Il dirò, sebbene a malincuore e dolente. Essi debbono lor vittorie ai nostri sozzi e rei costumi; siam trascinati da cupidigia di dominare, e, soffrite che vel dica, co' Turchi pugnauno da Turche. Aggiungesi poi altra cagione che non pos.o senza lagrime. dichiarare. Già per tanti anni si e combattuto fra Cristiani. Dio immortale I Quali furie, qual" Erinne agitano le menti degli uomini l Vengono tra loro alle mani, da entrambe le parti grande strage, intanto l'astuto Turco mena bottino. Che se contro costui qualche fiata impugnansi le armi, dicono: - Siam tanti e così forniti a macchine da guerre che vengano pure ad assalirci; Iddio ci assista o no, la vittoria sarà per noi - Ma i nemici s' ingannano, poichè con questo argomentare si vanno armando. Egli è poi facile il vincere chi a estranei negozi pon l'animo suo, facile il superar chi manca dei divini soccorsi, facile lo atterrare chi per domestiche stragi è sfinito. Che se, come richiedesi, intraprenderem la guerra con sano consiglio non avverrà egli di certo quel che dico' Nobilissimi Padri, noi siam vigorosi di forze, noi di consiglio, noi di eserciti, non molto numerosi, ma gagliardi assai più. Aggiugnevesi il recente consentimento la briga l'accordo di tutta la Cristianità, in ultimo, e questo e il perno, il presidio il favore ed il braccio dell' onnipotente Iddio. Che se Iddio e per noi, chi oserà star contro noi? Ed esso si porgerà a noi egualmente propizio come fece in tante nostre guerre di maggior momento, purchè cel togliamo a guida de' nostri consigli, e obbedienti a' suoi cenni prendiamo contro i Turchi le armi. A cotal guisa non vinse colui che fu in pari tempo generosissimo Re e verissimo Profeta, il quale levate a cielo le mani dicea cantando: Invoclierò il Signore, e da' miei nemici sarò salvo? Questi, garzonetto peranco imbelle, non fornito di armi, superò l' armato Gigante. Ma il nostro Dio d'Israello non esso pugnava, però, presa fiducia e baldanza, così faceasi scherno di quel Filisteo. Tu vùni a me con la spada,con l'asta e con lo studo. Io poi vengo a te nel nome del nostro Dio degli eserciti. Nè molto dopo riportò trionfante in patria il tronco capo di Golìa. Uscì contro al re d'Israello Asa il celebre Etiope Zara con un milione di soldati e tr(cento cocchi; \ingon messi in fuga e tutti uccisi. Cospirarono contro Giosafat i figli Moab ed Amone, esso chiede a Dio

soccorso, e le loro insidie tornano a loro dami o e tosto si feriscono l'un l'altro. E che dirò di Mosè? Forse il suo esercito non vinceva finchè egli teneva le mani tese in cielo, e non perdeva quando le abbassava? Che dirò di Giosuè per Unirla una volta? Che di altri moltissimi le cui segnalate vittorie contro i nemici son frequente raccordate nelle sacre istorie? Aveano per fortuna tal combattitore, il quale con un sol cenno può tutto. Il perchè, o Padri Cardinali, si respinga una volta da noi cotesta peste ile" Turchi, cessino una volta di macchinarci tante insidie, cessino di contaminare a scolleranze i luoghi della santa città, cessino di travagliare i nostri confini a continue piraterie. Ed io fidato ne' divini ajuti a voi prometto, o Padri Cardinali, che tanta sarà per essere l'autorità in noi, il valore ne' nostri soldati, l' accordo in tutti i buoni che in brieve vedrem per noi tutto libero, sicuro e vendicato. A Te poi, o Cristo Ottimo Massimo, il quale scegliam solo a guida de' nostri consigli, e che a diritto appelliamo nostro Padre, io priego che questo terrestre demone, cioè il Turco e suoi alleati, così allontani da tuoi altari e veri templi, dai lidi e mari e da possedimenti de' Cristiani che, se non si ricredono, vengano per sempre distrutti insieme a quanti si truovano nemici del tuo Nome, con i quali e col Demonio feron coloro orrenda congiura. Ho finito.

Dalle note di Fulvio Cardali .sacerdote della Compagnia di Gesù sulla origine e antichità di Narni.

Narni se appartenga agli Umbri o Sabini vien messo in dubbio da molti 1), con ciò sia clie variamente la sentono gli anticbi scrittori. Ma l ' autorità loro a noi concede poter seguire fra le due l' opinione che più ne garba. Narni adunque, posta presso il fiume Nera, che per opinione di alcuni divide gli Umbri da' Sabini, si potrà ben assegnare o all' Umbria o alla Sabina. In antico nomavasi Nequino; ma, poscia che venne in balia del popolo Romano, sendo Consoli Marco Fulvio Petino e Tito Manlio Torquato, dal proprio fiume ebbe nome Narni; e l'esercito rifecesi a Roma con largo bottino. Tito Livio, che narra ciò nel lib. X dell' istoria, descriveti eziandio la postura della città, accènnati inoltre in qual anno e modo cadde sotto il giogo de' Romani, e perchè prese nuovo nome. In somma, mutala in città la condizion delle cose, fulle mutato eziandio l'antico nome.

In quanto poi riguarda l ' antichità e origine di Narni, non posso accertar nulla. Nò, a dir vero, credo doversi prestar credenza a chi fa rimontare i suoi principi al figlio di Noe, tratto ad inganno da Giovanni Annio, il quale attribuì le proprie invenzioni al Babilonese Beroso Non mancò pure chi spacciasse per fondatore di Nequino un cotal Nequino non so di che stirpe e luogo, il quale diede proprio nomo alla città 2j. Ma perchè queste cose s'aggirano nel dubbio e nell'incertezza, nè sostenute da valevoli testimone le lascio di buon animo da canto, avvertito dall'autorità d'Isidoro. - Sullo origini della città, costui dice, egli ha infra gli autori tanta discordia che nè manto di Noma puotesi intimamente conoscere la genuina origine - . Ma farò passaggio alle cose vere e provate. Quelli che Plinio e altri chiamano Narnienses (Narnesi), gli stessi negli antichi marmi, come dimostra Ermolao, sono appellati Nartes 3); e così li appella anche Plinio nel lib. Ili; nome derivato dal fiume Nar   Ed anche dalle parole di Strabone nel lib. V, e di Tacito lib. Ili, dove parla di risone, s'impara che la Nera sia navigabile presso la imboccatura del Tevere, e che, quando Roma era in fiore, si usasse navigarla. Esigono anc'oggi in ripa a esso fiume, passato il Castel di 'l'aizzano, un tre miglia da Narni, alcune vestigia del porto dove alfin la Nèra, dopo aver lottato, strettamente rinchiusa tra mezzo altissimi monti, contro I' impaccio degli scogli e de' sassi del suo letto, incomincia a sostener le barche, ed ivi veggonsi pure i ferrei anelli impiombati nel vivo sasso, ai quali siccome a palo l'errato legavansi le barche. Dilungandosi circa un miglio della città e fuor di porta Romana, osservasi a destra della via Flaminia nel fianco del monle, che presso l'edicola dell' Annunziata sovrasta al fiume, impressa nei sassi una roiaja: imperocchè esiste lungo il dorso del sassoso e scosceso monte una via larga ben arginata da potervi insino al 'detto porto trasportare a carri le merci i frutti raccolti dai campi e altre cose da tradiro per p.,i cavii -iirne le barche. Nel territorio Narnese. e m ispecie da quella parte che, seguendo la via Flaminia* si estende in verso Otricoli, miransi avanzi di edeficY come sarebbe di sempolcri, templi ecc. E resti e ruine di opere antiche, in ispecie di noBili aquedotti, veggonsi presso la vetusta e mezzo diroccata chiesicciuola di S Maria di Pelrella, nel qual luogo e negli ultimi secoli è fama si usassero le fiere, con grandissimo concorso dei Sabini. Nel territorio del castello di Borgheria, che rimane a sinistra della Flaminia, esiste la chiesa di San Appollinare, entro la quale leggesi ancora la seguente iscrizione scolpita in marmo presso la sedia dell' Abate 4).

IN . PRAEDIS . O . F . AVREL1AE . FOELICITATIS . VIL

LA . FVND1 . BARBANI . A . SOLO . IN . QVA . TA . AN

TONINO . AVG . ET . AD VENTO . COS . RED . PARIT

DIO . PRIMO . AVGENTE . PVLINIANO

In altro marmo del pavimento

ST . VENESAVOS . ST . Li PHILEMO

VENESAVA . ST. L GALLA

Lunge da questo luogo, circa mille passi più in la di Taizzano, (o Taziano, o, come vogliono alcuni, Laziano o Lazzano, o anche Aziano da S. Azio Martire la cui chiesicciuola sta presso cotesto Castello lungo la via romana) dicemmo essere un tempo esistito un porto alla ripa del Nera qualmente dimostrano alcuni vestìgi, ossia i ferrei anelli, lo spiazzo selciato, dove menavasi gran menalo delle cose o da importarsi o da esportarsi, in sull' ingressi', o anche più addentro, alcuni strati di acque stagnanti impediscono di farsi innr.nzi. Vedesi pure un antico Bagno con le parili quasi inlatte costrutte a opera segnina 5] ed intonaco. Anche ora mantiene senza pin il nome di Bagno, spicciandovi una polla ili acqua perenne. Li presso egli ha un' altra vena di acqua ferruginosa, dove contano che una volta esistesse un simulacro di marno, stillante da tutte membra l'umor salutare, e perciò tenuto a gran pregio; la gente malata usava concorrervi in buon numero. Di colai vene veggonsi moltissime scaturire lunghesso il Nera; ma la più stimabile si ò quella clic scorre nell' istessa ripa alle radici dell' altissimo monte chiamato Coniano, dando le spalle alla via Flaminia un cinque(ento passi pi ima di ghignero a Narni. Si esperimentò che quesi" acqua a beveria guarisce vari mali; da ciò diconla santa, mentre promuove le urine, scarica il ventre, talvolta eccita il vomito, purga e altri benefizi di tal fatta; sprigiona l" arenoso o duro calcolo, apre le vene ostruite, f.'itti tornare l" appetiio, r*inlo Lmttì di ogni soverchio e dannoso umore i membri principali, e massime le vene il fegato e la vescica, finalmente di cotest' acqua è notabile la sua grande e natunti leggerezza in modo che bevuta in abbondanza non dà il minimo peso al ventre, come ne assicura chi l'ebbe sperimentata; e paragonata con le altre acque in uso; si ritrovò il suo peso assai di queste minore.

Non lunge dall'acqua santa virino alla mezzo diroccata cappelletta di S. Bosa. fra la \ia e il fiume, (piasi presso il suo margine avvi un fonte detto Candiano che abbonila e dà sempre fuora nell' anno antecedente a quello che porta carestia di viveri e fame 6). Fra i due castelli del contado Narnese Vasciano e S. Urbano esiste un.luogo memorabile, siccome quello che riceve splendore per la dimora, la cella ed un solenne miracolo di S. Francesco di Assisi. S. Bonaventura lo appella Eremo di S. Urbano, ma volgarmente lo Speco In quell" eremo il prefato S. Francesco, gravemente malato e in estrema debolezza, chiese un po' di vino. Rispostogli che fh Convento non erane un goccio, si fe' portar l acqua, e avutala con un semplice segno di Croce mutuila a vista in ottimo vino, che bevuto rifecegli all' istante la salute. Ivi mirasi pure il Calice di stagno conservato e venerato per detto miracolo, e la medesima secchia di rame con la quale venne dalla cisterna, ancor oggi esistente nel convento, attinta 1' acqua conversa in vino. Esiste pure la celletta dell' istesso beato Francesco ridotta a oralofio con l ' altare da celebrarvi la Messa. All'oratorio soprasta un'altissima rupe, sotto la quale apresi angustamente una spelonca larga iselP interno due piedi, lunga circa cento, tutta "piasi erta, tortuosa e buja; ma per la memoria e fama di San Francesco piena di lustro e splendore, la quale riempie i visitanti non di orrore, ma di un senlimento religioso 7). Ma, per rifarci a essa città di Narni, innanzi tratto flevesi andare alle sue porte, e da queste incominciarne la descrizione. D;i Procopio nel primo libro della guerra gotica si notano soltanto due accessi e porte di Narni; alle quali, accresciuta ne- secoli successivi la cinta de' muri, ne aggiunsero altre cinque; tre delle quali col tempo furosi portate più innanzi: le due antiche superiore ed inferiore si nominano nella vita di S. Giovenale Vescovo e Patrono della città. La superioie esiste ancora congiunta al Vescovato, ma di molto menomata e posta vicino al tempio del medesimo S. Giovenale, il qual tempio i nostri antenati levarono fuor della città, sì bene continuo al muro della medesima, affine di racchiudervi quella Ione, in cui ebbe stanza il detto santo. L' accesso, una volta difficile di questa porta, fu aperto fra gli scogli a forza di ferro, poscia con mucchi di terra riempita la valle posta fra le mura della città e il prossimo opposto monte, fu reso il pendio assai più dolco. La porta inferiore, messa tra la chiesetta di S. Valentino, o vogliam dirlo oratorio edilicato da S. Giovenale t e il quale esistette integro sino a' nostri giorni- e '1 saria stato anche in avvenire, se sotto il pontificato di Gregorio XIII, e con sua facoltà, non fosse stato profanamente cangiato in palazzo della famiglia .... Capocaccia 8; opinasi che fosse tm tempo in quello stesso loco, dove furon trovati, regnando Paolo IV Pontefice Massimo, i suoi vestigi coi cardini- e il vecchio circuito de' muri dell'epoca di S. Giovenale, ma ristorato e vicino alle case le quali erano delle mura inferiori. Coteste mura ne' secoli passati vennero prolungate dal monistero di S. Luca al tempio di S. Giovanni, e quindi alla porta del Votano, la quale un tempo venne aggiunta in mezzo a porta superiore e porta inferiore. Finalmente, accresciuta la città e i muri protratti a mezzo il dorso del monte, furon costrutte cinque porte delle quali due a guisa di archi o di volte veggonsi ancor oggi lungo la via militare 1 ' una passato alquanto il tempio di S. Giovanni Battista sotto la via Flaminia e chiamasi porta Pietra; 1 ' altra non lunge dal solito diversorio in sulla stessa via; la terza presso il monastero di S. Croce nel dorso del monte, dove ora termina il nuovo muro; la quarta all' ospizio del Moro senza nominarne un'altra poco discosta, dove dalla via retta si volta alla Chiesa del ponticello dedicata a Maria Vergine. In quel   piegamento poi delle mura, dove ora vedesi levata un'ara alla medesima Vergine per un miracolo operato, dicesi che vi fosse un tempo la quinta porta. Finalmente nelle antiche mura di essa città si contano sei porte, cioè la prima dei Puielli 9), la seconda del Votano, la terza di Pietra, la quarta delle Rivolte, la quinta la Romana, la sesta della Rocca, alle quali aggiungonsi eziandio altre due porte edificate nelle nuove mura interne l' una nella regione inferiore della città chiamata porta nuova, l' altra nella regione superiore presso porta romana che divide il subborgo dall' istessa città 10) Negli antichi tempi credesi che il circuito di Narni fosse di mille passi, giacchè il muro dalla chiesa ili S. Giovenale va al convento e chiesa ora di S. Agostino e un tempo di S. Andrea Apostolo, quindi alla porta inferiore di S. Apollinare piega a sinistra per l' alta precipitosa e sassosa rupe lino alla chiesa del beato Giovenale Esisteva una parte dell.. mitiche mura presso il tempio di S. Apollinare nella regione inferiore dove >ta porta nuova. Iriline le mura han termine dove le fabbricarono i Cardinali Legati de' Sommi Pontefici Urbano V, e del suo prossimo successore Gregorio XI. il quale da Avignone ricondusse a Roma la Curia romana dopo che l'ebbe dall' Italia in Francia trasportata Clemente V. I Legati mandali di Francia in Italia cinsero di muro la sommità del monte, per far più sicura la città. e per tòr a' nemici il potere di oflenderla dall' alto, quivi fondarono una rocca fiancheggiata da merlate torri 11). Eugenio IV P. M. della gente Veneta Condolimeli la cinse di fossa. Sopra la prima porta di essa Rocca seorgonsi in marmo gli stemmi gentilizi' di esso Eugenio. In pietra scolpita mirausi pur quelli dei due Pontefici Urbano e Gregorio. Nella torre che va più alto delle altre somi gli stemmi dei tre Pontefici Innocenzo V. Paolo li e Pio II: forse perchè o l' aggiunsero di nuovo, o l' ebbero ristorata. Dalla Rocca poi condussero quei primi Pontefici il muro tanto verso occidente fino al monaStero di S. Croce, come verso meriggio fino alla Flaminia, dove sta porta Romana e le mura, obliquamente piegando lungo le altissime rupi, soprastando al fiume, muniscono in cotal modo la via fino al detto declinar del sole. Nell'alto prospetto di quella torre, che levasi sopra porta Romana sono ancora guasti dal tempo gli stemmi di Urbano V sotto il cui pontificato tengo.essere stato quello edificato insieme al muro che va a congiungersi alla Rocca nella sommità, ove altra porta mette in città. Sotto Sisto IV Pont. Mass. come attestano le sue armi ... . si aggiunse una doppia porta ad oriente verso Terni fatta di pietre quadrate con torri, imposte ferrate e cataratte 12); oggi dicesi volgarmente porta delle Arvolte. Laonde la superior parte della città, la quale p^r questa porta per quella Romana e di Pietra per la Rocca e pel tempio di S. Giovenale si circoscrive: si rinchiuse dopo l'epoca dei Goti aggiunte. ... Le Regioni poi antiche media e infiun (lella città han principio ne! vicolo il quale è compreso nelle mura di recènte restaurate, dove già furono le antiche, e dalla vecchia porta per la quale vassi al Ponte, ora esso vicolo è sgombro nè frequentato, essendo stati incendiati i suoi edeficj nel sacco dato dai Borboni sotto Clemente VII, e poscia, come si disse, distrutti affatto nella costruzione delle nuove mura. Fra quell' antica porta, la quale sta presso al tempio di S. Giovenale, e l" altra, che guarda Terni e l ' oriente, era un portico danneggiato e sformato dall' antichità e acconcio ai notturni agguati: è congiunto alle prossime case, fatto con pilastri di pietra con volte tutte annerate e i fianchi rivestiti di pietre quasi quadrate con gl' incavi da farvi girare i cardini e le imposte, SÌ che sembra meglio una porta che un portone, specialmente perchè là vicino lungo la via di S. Agostino, sono i resti di un altro arco a vecchia torre congiunti per i quali puotesi conghietturare che questo luogo altissimo, così munito fosse la Rocca dell' antica Narni. Sono adunque sei le porte (iella città, tre che prospettano proprio il mezzodì. cioè quella di Pietra la Romana e porta della Rocca; la quarta degli Arvolti o Sistina è di contro a Oriente; la quinta del Votano a settentrione; la sesta, che mette al ponte. a occidente. Così avviene che quasi tutta la città pel riparo de' monti non è percossa dall' ostro, sentendo solamente il soffio di Euro e di Borea. La porta, che dissi esistere non intera di faccia alla chiesa di S. Giovenale, credo che circa la dominazione dui Coti in Italia o ancora molto dopo, fosse rifatta di nuovo, o restaurata; e mei persuade la base di una statua, messa ivi per fondamento del suo angolo sinistro, con quest'elogio 13):

T . . . LE . ANN .

P . PVBLIO . CEIONIO . 1VL1ANOCOHRE

CTORI . THVSCIAE . ET . VMBRIAE . OB .

IKSIGNIA . EIVS . GESTA . ET . ILLVSTRE .

AMM1NISTRATIONIS . MER1TVM . ORDO .

NARNiENSlV.U , VNA . CVM . CIVIBVS . STA

TVAM . CONLOCARVNT . PATRONO . DI

GNISSIMO

Questa statua essendosi levata dopo i tempi di Adriano, e la sua base fuor di proprio luogo, è necessario che al muro della porta più antica della statua si facesse qualche rinnovazione.

In quanto al Ponte, che cavalca sotto Narni il (fiume Nera, Procopio ne fa autore Cesine Augusto, e con lui quasi tutti la sentono, mentre furono quattro i ponti fabbricati con granile spesa sulla via Flaminia: uno nel Tevere presso la Metropoli, il secondo presso Otricoli, di cui anc' oggi veggonsi gli avanzi, il terzo sotto Numi nella Nera, il quarto nel fiume Arimino dov'era il termine della Flaminia Ma èvvi chi questo reputa non costrutto, ma ripristinato per Augusto, il quale, (assicurandocelo Svetonio nel cap. 30 della sua vita, allineilo più facilmente e per ogni parte fosse accessibile la Metropoli; tolta a so la ripristinazione di tutta la Flaminia liuo a Rimini (e munir la via, dice il Valla, significa riparare, rifare e sustruire) le altre diede a farle con i denari delle spoglie nemiche ai personaggi trionfanti .Ma più volte ruinato e più volte restaurato, nulla dell'antico rimane se non le fon-clamenta. Adunque Cesare Ottaviano Augusto, toltasi la cura di risarcire la via Flaminia, fece pure cotesto ponte Narnese, come dice Procopio; ciò non ostante innanzi Augusto dev'essere stato sul Nera presso Narni un ponte o di legno o di mattoni o di pietra fatto o dagli stessi Narnesi, o dai Romani, dopo dedotta in città la Colonia, o dull'istesso Flaminio, quando spianavasi la via Flaminia. Da Naiui sino a Fòro Flaminio (oggi S. Giovanni in Fiamma) bavvi doppia via, una a destra che percorre il fiume, l'altra a sinistra che porta a S Gemini. Da una parte e Y altra della via esistono ancor oggi tre colonnette milliarie, sebbene monche e corrose dal tempo, messe alla destra di ilii si conduce a Narni: nella via de>tra vedesene una indicante il primo miglio dalla Metropoli; nella via sinistra poi le altre due indicanti il primo e secondo miglio; delle quali due colonne la prima rimane piantata passato il ponte della Nera nel podere de' PP. Agostiniani Iti seconda mirasi presso gli avanzi di un antico sepolcro. Fssa via con battuto di ghiaja e broccia viene congiunta lungo il territorio narnese da due ponti gittati sopra correntie o meglio torrenti; l'uno cioè detto di S. Leonardo dalla prossima chiesetta di esso Santo; 1' altro Cardarlo il quale tutto rivestito di pietra quadrata ha tre archi, de' quali il medio è maggior degli altri, e dista dalla città circa quattro miglia. Che il Ponte Narnese fosse sopra glr altri celebre lo attesta Procopio, e cel significa anche Maziaie nel lib. VII, epigr. 92 - Nanna Sulfureo de. Siccome il Poeta nel secondo verso disegna il sito di Narni antica fabbricata nella sommità bicipite, cioè nella vetta del monte dall'una e 1' altra parte, o a ver dire, da tutte le parti al sommo pendente; ed e a dubitare in qual punto sia meno disagiala scoscesa e sassosa: così fa in seguito rispetto alla magnificenza e nobiltà del ponte, il quale ri certo,1oche il vogliamo costmtto da C. Flaminio autore della Ma Flaminia, o da Augusto, come riferisce Procopio, o, ciò che potè sui cedere, da loro restaurato, si tiene da tutti gli architetti per opera di arte in vero mirabile e perfetta, V- composto di quattro ari Iti di pietra quadrata distinti pel genere di costruzione, e dissuguali fra loro tanto per lunghezza quanto per larghezza Ji più alto di tutti è quello in piedi addosso al monte di sinistra, duve è fabbricata la città: il secondo arco a questo prossimo superava gli altri per larghezza. La minore altezza era di quello che stava congiunto al monte opposto. Si andava in città per via di cotesto ponte fatto a scesa, imperciocchè esso fu gittato uell'istessa foce dei monti, i quali circoscrivono la larga e per tutto eguale pianura di N'arni- e dove èssi monti ricevono nella loro gola il Nera, dopo aver esso tortuosamente percorso pel tratto di dodici mila passi i campi ternani e narnesi, i quali circondati da monti e colli frugiferi adorni di molti paesctti e castelli dàn vista di un anfiteatro. L'altezza dell'arco che ancor resta e da terra a cima di oltre LXXX piedi e lino al piano stradale del ponte istesso piedi XC1I; la larghezza del ponte piedi XXIII, la lunghezza CCLXX circa. I due archi estremi han sotto loro una via; e il margine di ciascuna di coteste vie è bagnato dal fiume. I due archi di mezzo dau libero varco al detto fiume. Il pilone che infra la via e il fiume sostiene l'arco nella parte estrema, preso da tutti i lati e largo piedi XXVIII. dall'inferiore cornice piedi XXVII, iì.iila superiore corona ;ilia prima curvatura dell'arco piedi XXVi. Nel lato postico del pilone vólto a mezzogiorno miratisi alcune lettere latine dal tempo consunte che possono appena leggersi non dirò intendersi: e son cotesto - Milateor - Vimplis con le quali lettere stimo significarsi il nome dell' architetto o del fabbricatore; imperocche il nome dell' autore o drl restauratore soleva incidersi o negli archi, come ce ne porge esempio il Ponte Fabricio di Roma; o nelle sponde come .... e il Salario di Roma, e quello di Augusto in Kimini. Presso quest' arco alle radici ilei monte, dove osservasi il Monistero delle Monache di S. Luca avvi un altissimo speco, donde andando al coperto in mezzo alla fondamenta del ponte sotto 1' acqua si passa allo speco sotterraneo del munte opposto che prosiegue fino al tempio di S. Pellegrino fondato in questo stesso monte, e che dista dal ponte quasi due miglia, Alcuni per tradizione de' nostri padri avendo tentato cotesto cammino, e giti gran pezza innanzi non poterono vederne il fine. E perchè se volessimo trattare di altri edefizi di Narni non avvi altro se togli cotesto Ponte sommamente ruinato e I' Aquedotto, degno gran fatto di memoria, per Ciò avendo discorso del Ponte ci resta a dir brevemente dell'Aquedotto .

La situazione dell' antica Narni siccome per natura dell' istesso luogo rendeva i cittadini, e gli avveniticci sicuri da ogni esterno assalto ed incursione, co"! per la penuria o mancanza di acqua erano esposti a molti ed affannosi disagi. Ma il continuo o lungo assedio posto dai Romani alla città dimostra quivi l'uso delle cisterne. Però 1' acqua di cotesto cisterne non potea ne durar sempre in abbondanza. E avvegnachè abbiavi pure il fiume Nera che lambisce e quasi circonda le falde del monte, pure si stimava difficile e incommodo lo andarvi per I" acqua. Il perchè col gir degli anni, e dopo quivi dedotta la Romana Colonia, e dopo aver la città aumentata la sua cerchia e gli abitanti, si provvide al proprio commodo. e l'acqua venne dalla lunga cercata ritrovata condotta. e pur ora irriga ristora e ricrea tutta quanta la città. Prende origine dell'acqua nel territorio narnese lontan sei miglia da Narni nello pertinenze del Castello di S. Urbano presso la strada che volge alla medesima citili. Il fonte è al certo meschino; ma per via si arricca di altre sorgive, mentre nei lenimenti del Castello delti Tieli. o Iterii, o lenii, se ne aggiungono cimine, e la sesta per ultimo si unisce a loro non passato di mollo il Convento de' Cappuccini Vecchi. Il condotto di essa acqua ha di lunghezza, dalla sua origine fino alla città, passi XV mila con sotterraneo corso e a livello e declivio sempre eguale, affinchè più facile scorra, e dentro le mura fra le fonti inalzi il rapo I?). Nel suo mezzo s'alzano monti e colli, e vi s'incontrano interposti seni e recessi di monti fiel numero di circa XVIII (?). 1\ canale, essendo siati se.nati gli spechi, i ossia i sotterrici meati dove scorre l' acqua) fu in parte tagliato liei tufo o sasso lungo le viscere di due monti e quattro colli; parte, dove il terreno è arenoso o marnante, fatto venne di cemento con salde pareti e volta o Camera, affinchè il sole non penetri, nell' acqua. Oltre a ciò, là miri qualche sostruzione, qua alcuni archi di pietre quadrate, i quali in numero di sei incatenano i monti, mentre l' acqua è per i costoro fianchi con tanti circuiti e serpeggiamenti condotta. Vi son pure pozzi duecento, come richiede la ragione, o vogliam dirli o meglio spiragli e a guisa di narici con le quali l'acqua corrente possa respirare, e la forza del vento M sfoghi, affinchè l' aere imprigionato non ritardi il corso dell acqua, b poi .degno di considerazione, che il traforo del secondo monte ha nel mezzo poca piega; perchè i manuali che scavavano, e picchiavano da ai:.emine le parti storsero alquanto per incontrarsi dallf due opposte piarli Colai piega è d' un piede e mezzo. Ai tempi antichi 1' Aquedotto incominciava i siccome in alcuni luoghi addimostrano i resti e le ruine nel lenimento di bugnola, non hmge dal castel di Vasciano, nel qual condotto imboccava eziandio altra vena, o sorgente, la quale 1ra lo S;l.h.o di S. Francesco nasce nel podere di certo villico Vascianese. Adunque il vecchio capo dista quasi IV mila passi da quella sorgente che ora è prima; quel canale guasto dall'antichità, e Li. due maggiori sorgenti o vene ritiratesi; furonvi derivate come si crede, ne' posteriori secoli quelle che dicemmo. Quest'acqua scorre limpida e fresca, nè per piogge s'imbratta. Come giunge in città, guidasi a uso de' cittadini in pumblei canali, e spiccia per tre fonti, posto ciascuno in ciascuna regione di che è formata la città, cioè superiore infuna e media; il perchè questa è tutta piana, le altre a pendìo. La tazza di bronzo dei funti da alcuni cannoncini, i quali sono ricoperti da mammelle o zinne, o puerili o leonine facce, diffonde con giocondo mormorio nel sottoposto vaso di pietra l' acqua la quale in cotesto recipiente, invisibilmente forato, quasi tutta vien così accolta e rattenuta che lo riempia senza traboccare; ma come cadente per fistole e tomboli V acqua ora formi una vasca per abeverar le bestie, ora posi nelle varie regioni a servire pe' lavatoi, e per uso dei tintori e dei conciatori di pelli e altri mestieri; donde avviane che neppure le acque lasciate via siano inutili, ma contribuiscono moltissimo alla salubrità della città; mentre, siccome veracissimamente disse Frontino, alcuna*fiata per via loro si tolga ogni aspetto d'immondezza, il loro impuro alito e le cause di ammorbare l'aria Di quest' opera siccom'è difficile assicurar l' autore, così è facile il sospettarlo. Imperocchè M. Coccejo Nerva figlio di Marco Narnese, illustre nella facoltà legale ed avo del Divo Nerva Augusto, essendo stato in Roma prefetto degli Aquedotti circa l'anno di Homa DCCLXXII e dell'umanità di Cristo XXVII, perciò puossi a ragione sospettare costui l'autore di cotant' opera e cotanto benetìcio reso alla patria. Ala chiunque ne sia veramente l'autore, l'opera si è al certo per sentenza di tutti quelli che giudicar ponno di siffatte cose, nobile esimia ammirabile, insomma degna della colonia e dell ' impero romano, o che ti piaccia risguardare l' artificio 0 la lunghezza e la spesa.

I Castelli della giurisdizion Narnese sono al presente quattordici: non pochi altri venner manco alla città ne' tempi andati, parte ruinati, parte venduti o perduti per casi fortuiti e pel rivolgimento de' tempi e delle cose. Antichi autori attestano che il territorio Narnese è celebratissimo per amenità salubrità copia di vino frumento olio e altri prodotti e per molto numeio di ville e predi' degli antichi romani. Abbastanza il dichiarano i lori vocaboli, i quali, benchè corrotti, si mantengono ancor oggi come sariano Flaviano, Plagiano, Aureliano, Tulliano, Fubriciano, Flaviano ossia Flaviniano, Mariano Basiliano, Vatiano e altri moltissimi che si lasciano per brevità. 17).

L" istessa N"arui prima della sua ruina, che grandissima le accadde nell'anno del Signore M. D. XXVII, contava mille e settecento case, e oggi appena mille. L"uso frequentissimo delle torri, benchè oggi in parte diroccate. che si vede in essa città attesta senza dubbio l' antichità la nobiltà e la potenza passata di lei.

Marco Coccejo Nerva di Narni, di Varco figlio, di Marco nepote successe nell' impero a Domiziano ai XIUI Kal. Oct. dell'anno DCCCL1X della fondazione di Roma e XCVI1 della nascita di Cristo, contandone

egli di età LXII1I Per testimonio di di Aurelio, Eutropio,

Dione, Eusebio. Cassiódoro. Giovanni fu modello di singoiar

bontà e naturalmente dotato di animo grande e sublime acconcio all' onestà, alla clemenza, alla gravità, alla temperanza, alla giustizia, alla liberalità, all ' umanità, alla prudenza, alla magnanimità. in somma a ogni virtù in modo che, se a tutti questi doni di natura avesse unita la cognizione e culto de! vero Dio, nul1' altro sembra essersi potuto in lui desiderare.

Dopo il qui dianzi ricordato imperator Nerva, è da dar luogo ad altro non inferiore per dignità, quantunque posteriore di tempo, ed è papa Giovanni XIII nato nell' istessa città.

Gattamelata si toglie il terzo posto fra gli antichi uomini illustri di Narni. Costui, sebben nato in Narni da ignobile padre di mestiero Fornajo, pure nella militar disciplina giunse a sì alto grado di nobiltà che fugli dato il comando dell' esercito della Veneta Repubblica. La sua statua equestre con tai parole scolpite vedesi eretta iu Padova;

Narnia me genuit Gattamelata fui.

Stante l'opera imperfetta dell'autore si tratta soltanto di queste cose, lasciatene£da parte altre non poche.

1) U Cardoli dorè qui scrivere fuisset giacché ciò non è questione d' oggi, ma de' tempi antichissimi, mentre è indubitato che Narni al tempo del Cardoli e al presente forma parie dell'Umbria. Rispetto alla quistione de' nostri antenati, io posseggo buoni argomenti da sentirla con quelli che unirono in antico Sarni ai Sabini o ai Sanniti loro sacra Colonia. E nel vero che ragione reca in mezzo la parte contraria per metter Narni antichissimamente noll' Umbria? Il gran passo di Tito Livio, dove diecsi eh'essa città forte Tenne pe' Uomini ridotta colonia contro gli Umbri, cioè per rifrenare le loro escursioni ed impeti. E questo passo invece fa tutto per la nostra opinione, poi che se Narni slava contro gli Umbri, non poteva esser Umbria, altrimenti sarebbe stata eziandio coutra se slessa; il che è assordo. Anzi dal passo di Livio si deduce assai chiaramente che l'Umbria terminava da nn lato a confine di Narni. Né per buona sorte possiamo appuntare il concetto dello storico egregio come male esprc sso, con ciò sia che ei medesimo ci avverti dianzi, e prima eh? parlasse della infelice catastrofe di Narni, che gli Umbri erano stati lotti conquistati un dicci anni avanti a noi, per coi Narni e molto prima e molto dopo il giogo R.mauo non istelte punto con l' Umbria; lascio poi da parte i (empi anteriori alla storia, giacchè quelli sono nel bujo riposti, e ninno per ora può sopra argomentarvi. Che se vuoi più saldo argomento che Narni non pcrtenesse antichissimamente all' Umbria, leggi i fasti Consolari che ti danno il trionfo sopra i Nequinali, ossia Narnesi unito, non a quello degli Umbri, ma dei Sanniti, e menato nel 1453 ab. n. e. per Marco Fulvio Petlno. Donde puoi dedurre a gloria di Nanii, eh' ella a quel tempo fosse di sua ragiono, e che, non solo non formasse parte dell'Umbria, ma uemanco de' Sabini o Sanniti, altrimenti non saria stata ne' fasti cotanto distintamente registrata. Adunque per queste sale ragioni, sema citarne altre che ne avrei |di valore, è da tenersi come indubitato che Narni, e prima della conquista Romana ed eziandio molto dopo, non fu legala punto all' Umbria, si bene 0 alla Sabina o al Sanni", ovvero, ciò eh' è più probabile per testimonio de' fasti Consolari, che godesse innanzi alla caduta la sua propria autonomia. Quando poi incominciasse a far corpo dell'.Umbria non saprei stabilirlo; ma truovasi al certo in siffatta provincia nella prima metà del set:. IV dopo la venuta di G. C. e per affermar questa cosa ua ho autorità dall'iscrizione di Publilio Cejonio riferita più sotto.

!•j Dal discorso che porrò in seguito sulla parola Xeqmnum rilevar potrai la stima che meritano gl'ingegnosi e savi etimologisti di essa parola.

5} Il buon Ermolao e con lui il r. Cardoli presero nn granchio a secco, pei che Pfartes o Naharles è parol a fatta a significare e distinguere i Ternani della Nera. Vedi su ciò la mia nota a pag. 23 del Voi. I di quest'opera. E Plinio pure fu qui citato a sproposito, imperocchè le sue parole son coteste. - Interamnates coi/nomine NARTES: Ittcvanates, Kevanionemes. Matilicates; NARNIENSES ete.

4) smalta iscrizione, qui mal copiata, troverai correttissimamente impressa nel Voi. [della presente opera a pag 233. Se ora nell'originale scorgerai qualche punto di più che non per entro il mio esemplare, danne colpa a chi scioccamente imbrattò d'inchiostro gì' incavi prima pulitissimi delle lettere. Rispello alla seconda iscrizione posso darti la vera posizion delle parole, giacchè l'originale esiste ancora in Visolano nel pianeito della chiesa di S. Potenziana.

ST VENESAVOS

ST L PHILEMO

VENESAVA ST L

6) Leggi l' Idrologia Narnese nel principio di questo volume

7) Tutto ciò che si ricorda in questo paragrafo del Santuario delld Speco esiste ancora, ed in grande venerazione di quelli del contado.

8) Vedi a pag. 556 del Voi. 1. di cotcsta Miscel. nota 3.

'.)) Porta dei Pulclli è quella ad angolo acuto che dalla parte di settentrione mette al ponte di Augusto e sopra alla quale égli ha la cosi detta Soprnstanteria della fiera, ossja due camere dove risiedevano i Soprastanti ossia Dppnlati o Governatori o Giudici della fiera, la quale si menò sempre sino a Ire anni fa nello stradone posto presso detta Soprastanteria.

10) Per aver notizie più ampie di alcune di queste porto leggi il Voi. I di questa opera pag. 340 e segg. La porla situala prima dirimpetto al moderno l'ini io e che divideva dalla città il subborgo di porla Romana, venne posta addosso a questa istessa porta per onorare l'ingresso in città del sommo e immortale Pontefice Pio IX, come ne facea pruova l'iscrizione posta nel fastigio di essa porta e levata nel nuovo regno italico.

\\) Di questa pure ragionai nel Voi. 1. pag. CS della presente Miscellanea.

12) Per me la tengo fabbricata o al certo restaurata del tutto, o in gran parte sotto Innocenzo Vili come dissi nel luogo qui citato al n. 10. Se fuvvi posta l'arme di Sisto IV, potè ciò accadere perchè nel suo Pontificato se ne incominciò o la fabbrica o la ristorazione. Un documento da me citalo e autentico ne assicura ch'essa porla si fabbricava regnando Innocenzo Vili. Se pure per qualche vicenda di assalto guerresco non fosse stata ruinata subito dopo costruita nel regno di Sisto.

13' Cotesta iscrizione è riportata dal Manuzio nell'ortografia, dal Fontaniui nelle antichità di Orle, dal Cialti nella Perugia Augusta, dal Campetto nella storia di Spoleto, dal Sirmondi nel suo Propentico sopra Salmasio dal Gruferò nella collezione epigrafica, dall' Henzen nel suo Ordii, dal Fabrelti nel Dizionario di lingua Etrusca, dal Brusoni nel ms. di cose Narnesie forse da altri a me ignoti. Ma chi più chi meno ce la diedero scorretta.

14) Ne demmo la storia in questo stesso minine.

15) La prima linea di siffatta malconcia iscrizione pessimamente letta e perciò pessimamente inlerpetrata dal Cardoli, dice al certo A PILA SECVNDA

La seconda linea ci dà, per quel che pare, la quantità dei psssi o piedi di una tal distanza che non saprei dire se miglia o altro.

"

16) Abbiano già preparato e pronto quanto occorre per trattare in degno modo di questo insigne monumento poco noto a' forestieri; perchè nelle pagine avvenire ne parleremo di proposito.

17) A' tempi nostri, e nel nostro territorio, sonosi scoperte molte ruiue di antiche ville romano e acquedotti e sepolcri in Tari ponti.

 

OBATIOJ

ANGELI MARI/E TORSANI ARIMINENSIS

DE LACDIBUS Narnije CIV1TATIS UMBRIE

Alle notizie scritte del Cardoli sulla nostra città credo opportuno fnr succeder quelle clic ne diede il Servita P. Torsani nel rarissimo opuscolo chò ha per titolo - Angeli Maria} Torsani Ariminensis Ordinis Diva' Maria; Servorum Orationes, quae de Umbriue Rnmandiolaeque e1e. laudibus agunt; (Yenciììs apud jo: Gryphium 1562) - L'orazione in lode di Narni è scritta, come le altre, con sufficiente eleganza, ma con poca o niente arte, con molti difetti ed eziandio con iscarsa cognizione del soggetto che tratta; nulla di meno val qualche cosa per noi dove parla brevemente del Sacco de' Borbonici, e degli uomini illustri. Ma, perchè tutti la possan leggere e intendere, curai tradurla alla meglio nel nostro volgare, e corredarla di alcune note necessarie al testo o per correggerlo o per dichiararlo. E avvegnaché sia stata fatta, come dissi, di pubblica ragione per la stampa, pure la molta sua rarità, e per ciò difficoltà di averla tra noi, consigliommi, e credo con piena soddisfazione de' miei concittadini, a ripubblicarla nella presente Miscellanea come documento non inutile per qualche punto della nostra storia.

DE LAUDIBUS Narnije CIVITATIS UMBRIA

Magno dolore afflcior equidem nobilissimi, et omnium genere vir^ tutuin ornatissimi viri, hodie ingentem hominum frequentiam, plenam doctissimorum virorum ad hoc (empimii, et ornatu decorem et sancitate conspicuum, alacrem concurrisse, exeitam (ut videre videor) desiderio audiendi virum praestanti doctrina excultum, atque dicendi venustate maxime praeditum; vorum spes illorum longe ipsis imponet, nam ex me intelligere non poterit, nisi insulsa quaedam. et inconcinna et doctrina, et eloquenza valde carentia. Attamen, quia ex vestra attentione, studium meum non aspernari intelligo, nonnulla ponam in medium de origine, nobilitate, et magnitudine Narniae urbis antiquae, nobilis in primis, et natura et situ, et fertilitate agrorum, quae ;ut annales loquuntur et historiae) olim jam ob saxi rupisque asperitatem, et montis impendentis altitudinem, vulgo Nequinum dicebatur, verum a Nare, flumine propinquo, postea Narnia dieta est; de qua optimi, idoneique auctores honorilicam mentionem saepenumero faciunt; veluti Strabo, Titus Livius, Plinius, Procopius, et caeteri complures, quos causa brevitatis omitto; cuius origo ab nostra memoria, propter vetustatem nimis remota est, et ascondita; etenim quo tempore, aut quo auctore iacta fuerint illius fundamenla, penes aliquem idoneum scriptorem non reperietis.

Il titolo della raccolla è il seguente — Angeli Mariae Torsani Ariminensii Ordinis Divae Mariae Servorum Orationes quae de timbrine Romandiolaeque ete. laudibus agunt - Vcnetiis apui Io. Gryphium J562 —

Io sento al certo gran dolore, nobilissimi e virtuosissimi Signori, nel veder oggi in cotesto tempio, per ornamenti vago e per santità conspicuo, tanto e si pronto concorso di persone, stimolate fqual mi sembra) dal desiderio di ascoltare un uomo di profonda dottrina ricco e di bel garbo nel dire sommamente fornito; ma la loro speranza andora molto delusa, conciossiachè non potranno altro da me intendere che alcune cose insulse disacconce e di dottrina ed eloquenza in tutto spoglie. Nulla meno comprendendo dalla vostra attenzione la stima che fate de' miei studi, terrò breve discorso sull' origine la nobiltà e grandezza di Kami città antica, nota fra le primarie e per la natura e per la postura e per la fertilità de' campi, la quale (come si ha dagli annali e dalle istorie) stante l'asprezza "fello scoglio e della rupe, e per l'altezza del monte sovrapposto, venne già volgarmente appellata Nequino; ma poi dal prossimo fiume Nera si disse Narni; della quale fan sovente ricordo ottimi e autorevoli scrittori; siccome Strabone, Tito Livio, Plinio, Procopio e altri molti, che a brevità non cito; la cui origine per l'alta antichità essendo troppo remota e ascosa, non è più in nostra memoria, imperocchè in qual tempo, o da chi fusse costrutta no1 troverete notato da niuno scrittore di fede. Checchè dican gli altri me ne passo, avendo messo fuori opinioni varie disparate a tutti note e non vere, giacchè per me sanno piuttosto di fole. E chi? chi mai ignaro di una via può per questa fare altrui da guida? Il perchè, parendogli costoro avvolgersi in grandi contraddizioni, passerò oltre senza curare le loro inventate sciocche e vane opinioni. Il Console Apuleio con gagliardo esercito e severa disciplina tenne a lungo assediala Narni e ancorchè possedesse forte ingegno non la poteo espugnare, nè col ferro nè con lavori di approccio, stante la natura del luogo e la fortezza d' animo e il coraggio de' cittadini. Finalmente ì Romani a lei piuttosto stanca per l'assedio che vinta e soggiogata riceverono in fede 1 , e tosto vi dedussero una colonia, siccome vallo e sicuro propugnacolo contro gli Umbri. Oh gran vanto da celebrarsi in tatti i secoli 1 E chi? chi non sa che per quanto tempo resistette Narni ai Romani, per tanto goderon gli Umbri la loro libertà 2)? Nè ai Romani venne mai fatto o debellare o espugnare le loro città. Il perchè e per la tua fortezza, e per la tua prudenza, o Narni, tanti anni e tanti secoli faticarono i Romani a superare in guerra gli Umbri. E quale? quale altra città fra tante nobili e forti si ritrova, che sì coraggiosamente e gagliardemente abbia saputo ritardare la concepita speranza, e il fortunato imperio de' Romani? Sotto al cui dominio già caddero tutti i Sabini. i Latini, e altri molti popoli d' Italia salvo Narni? Io al certo non ho de' tempi passati un fatto splendido e illustre a questo modo. Sotto il cui imperio di poi così fiorì per averi onori ed ingegni, e eon la virtù levossi a tant'altezza, che appo tutti fu tenuta per degna di moltissima laude ed estimazione. Al Senato e Popolo Romano a tal segno fu grata ed accetta che i nobili personaggi nati da lei ornarono di amplissimi onori magistrati imperi dignità e averi; i quali personaggi- avendo ben presieduto ai grandi imperi' e province, e fedelissimamente esercitato il magistrato, dopo morte lasciaron di sè gran desiderio, e per opinione di tutti il Senato e Popolo Romano per la perdita di coloro furon presi da maggior dolore. La qual città di poi molti giorni mesi e anni fu felice e fortunata tanto, che sembrò avere la fortuna in mano. Finalmente venendo meno la dignità della Repubblica, e rninando la grandezza dell' impero, si cangiò eziandio la fortuna di Narni onde' come Roma regina del mondo, imperatrice dell' universo e splendidissimo fomite di ogni maniera di discipline, ella sostenne e soffri molte disgrazie e molti disagi per parte de' Goti Longobardi Brettoni e altre estranee nazioni che con incendi! e rapine tolsero l'impero "omano, e gittaron. I' Italia nello squallore e miseria. Qui qui, o egregii cittadini, (per non rinfrescarvi la memoria di tanti mali passati e col ricordo di questi non farvi sparger lagrime e straziare dal dolore) lascio di nominare le ruinc delle sostanze, le stragi de'cittadini,

le infelicità e disgrazie delle santissime donne e di altre, l'uccisione dei fanciulli, il furore delle parti, il devastamento della campagna. l ' eccidio della città; queste cose tutte senza dolore e lacrime non si posson punto raccontare. E nel vero chi potria intendere, non dico vedere .(lascio i fatti antichi e nomino i recenti; l'eccidio di Narui, il quale nell'età nostra, nei nostri giorni con tanta scelleranza, crudeltà e.ferocia fu commesso? E chi potria la ruina delle case, l ' incendio della città, la rapina dei beni, il saccheggio de' casali, la devastazione del territorio, il danno de' cittadini, il male del popolo, la calamità della plebe con buon animo sopportare, o tener le lacrime nel riandare queste cose? Ma per concessione di Dio e misericordia di Cristo Salvator nostro la città fu sotto il mansueto e benigno reggimento della santa romana Chiesa ristorata, e per forma ristorata, che a ragione può dirsi rinnovata; sotto il cui tranquillo impero ora vive e riposa, e vieppiù aumenta di giorno in giorno la sue sostanze e dignità.

Ora dirò del suolo, di cui non può altro ritrovarsi più schietto e ferace; imperocchè, i lasciando a nominare le vigne abbondanti, gli oliveti fertili, gli arbusti che fanno bell'ornamento, gli orti ameni, i pomari piacevolissimi, e ogni varietà di fiori. abbonda di grano, di vino, di olio, di porci, di cinghiali 3{, di capretti. di agnelli, di galline, di tordi di merle, latte formaggio, di carice e uva, detta volgarmente passarina. Ghe più ? Tanto abbomla di ogni bene che è in molta ammirazione di tutti. Ma che? non degsio qui passarmi del portento inaudito e a celebrarsi per ogni secolo. In cotesto suolo egli ha una terra nota a ciascun perito e poco nota agli altri, la quale per pioggia divien polvere, e per tempo caldo e secco si fa loto. Che dirò dell' acqua di cotesto stesso suolo? la quale ad ogni guisa d infermità ò fama che faccia medecina e alleviamento grandissimo? E che delle sorgenti piene di diletto, le quali predicon la fame, l ' inopia de' frutti, la sterilità dei campi, e la somma carestia' E che puossi pensare di questo più mirabile, più eccellente, più divino 4)? Che cosa dirò del pónte grandissimo ornamento e della città e della campagna dov' è fondato, e il più bello di quanti sono e Turono nel mondo? Il cui mirabile arteficio e somma altezza degli archi tutti i dotti ed i storici levano meravigliosamente a cielo? Opera al certo degna e della vastità dell' imperia e della grandezza della romana repubblica fatta eseguire con regia e imperiai pompa sopra il bianco fiume Nera da quel Cesare Augusto felicissimo di tutti i Romani. E tanto del suolo Ora tratterò breve de' personaggi fregiati a dignità, sommi per religione e pietà, istrutti delle arti liberali, e famosi in milizia, i (piali recarono a cotesta città grandissimo ornamento e vantaggio E in prima favellerò di Giovanni XIII Pontefice, il quale noto per so stesso e senza ninna raccomandazione de' suoi antenati fu gradatamente levato a tutti gli onori e poi all'altezza di cotesta dignità per via della sua innocenza, integrità ed eccellenza di costumi, personaggio al certo il più erudito di tutti nel diritto canonico e civile, acutissimo per ingegno e prudenza, pulitissimo in sua favella, il quale sembrava essere stato dall'istessa natura formato uomo grande e sublime rispetto all' onestà, alla gravità, alla temperanza, alla magnanimità, alla giustizia, in somma a tutte le virtù. Fu eziandio Narnese Coccejo Serva imperatore nato da buoni e onestissimi parenti, singoiar personaggio e cittadino Romano, del quale non fnvvi nè ritro-yossi altri (salvo forse alcun di \ov) più cortese più giusto più sapiente. Costui, avendo ben governato alcune province ed esercitato le principali Magistrature dal Senato e Popolo Romano fu creato imperatore già vecchio, e dalla vecchiaja infievolito; personaggio al certo meritevole d' ogni Senatoria dignità e imperiai maestà, e personaggio in fine tanto per la prudenza e diligenza, quanto per ogni virtù eccellente. Cotesta citta' a ver dire, non altri produsse, o per gloria più chiari, o per autorità più, gravi, o per umanità più gentili del Pontefice Giovanni e dell' imperator Nerva, Dopo costoro, scorso alcun tempo, (siccome può rilevarsi da' documenti scritti > venne Bernardo 5) personaggio eccelso per istudio e lode di eloquenza per onestà e per integrità, cui lo splendore del nome, la fama della bontà e la cognizione di tutte le ingenue ed umane arti inalzarono al Cardinalato. 0 ammirabile fama di virtù e degna di lode, la quale nè soffre stare a lungo coperta, nè desidera altra ricompensa delle fatiche e pericoli sostenuti che questa della lode e dell' onore. E chi non sa che per tutto il tempo che rimasero ascose le virtù di Berardo, questi menò la vita nelle spelonche e nelle tane degli animali selvatici? E quelle venute in un attimo dalle tenebre alla luce e in cogaizioue di tutti incominciarono a essere in grande ammirazione degli uomini. Conciossiachè scorgevano in lui un fiume di gravissime e ottime parole, vedevano gravissime e vere sentenze, rimiravano finalmente tanta scienza in diritto canonico e civile, che in niuu altro più 11 perchè fiorendo per tutte coteste virtù, la sua autorità presso il Pontefici: valse moltissimo; giacchè ne' grandi negozi era cosi versato, ch' egli molte e grandi cose senza il Pontefice condusse a fine; ma non il Pontefice senza di lui mai nulla. Anche Paolo Cesi fu per nascita narnese e per cittadinanza romano. Costui riu>ci egreggio personaggio ed onesto Cardinale fra i principali di S. Romana Chiesa; il medesimo anche eruditissimo in lettere greche e latine, amatore e diligentissimo investigatore delle antichità, e delle cose ritrovate e degli scrittori antichi valente interprete e chiosatore; e di lui non si trovò nè ? si può pensare alcuno più grave più sapiente, più amabile. Ma perdio soli qui costretto a rinnovar l'affanno e molestia dell'animo? Imperocchè quell' ingegno di Paolo della immortalità degno, quella virtù, quella umanità, per subita morte mancò. O fallace speranza degli nomini, e caduca fortuna e inutili sforzi, i quali a mezzo spazio vengono spesso rotti e gittati a terra, e nell' isfesso corso oppressi prima che possano vedere il porto. Imperocchè veggendosi Paolo incSnlmare a più alte dignità, la morte mandò a vuoto la sua speranza e tutti i consigli della sua vita. Questo caso fu di lutto ai parenti, di tristezza alla patria, e di gravezza a tutti i buoni. Fratel di costui egli fu Federico personaggio chiarissimo e pienamente e sommamente perfetto in ogni dottrina e costume gentile; il quale per le singolari doti dell' animo, per la eccellenza de' costumi, e somma integrità della vita fu da Paolo IH Pontefice messo nel novero de' Cardinali. Nel qual personaggio, o Dio immortale I tanta f> l' esquisita dottrina, tanta la singolare industria, tanta la divina memoria, tanta la gravità ed eleganza delle parole, che a tutti riesce di non piccolo stupore, e a tutte coleste cose ( il che è più belio e buono) recan fregio la dignità e integrità della vita. Ma che? tacerò forse di Angelo e Ottavio Cesi, uomini illustri e Vescovi insigni? I quali furono così adorni di singolar dottrina, così noti per la loro frugalità, così insigni per la mitezza dell' animo, illustri per la pietà, e chiari per la umanità, che di chiunque altro e mai di loro diriano abbastanza gli uomini. E che di Pier Donato Cesi, personaggio ornatissimo e Vescovo di Narni? il quale per cognizioni di ambo i diritti canonico e civile e per ogni genere di giurisprudenza così va innanzi a tutti, che tutti lo hanno in ammirazione e ne reston stupefatti. E chi più di lui prudente nel governar le provìnce? Chi nel pronunziar sentenze più sottile? Chi ne' giudizi più sapiente, più giusto e sollecito? Chi più studioso di lui nel conservare l'abbondanza delle derrate, e allontanar la carestia? Enne testimonio Ravenna, testimonio la Romagna, le quali per virtù e consiglio di costui ebber gran dovizia di ogni cosa; ed ora ènne testimonio Bologna chiarissima città madre degli studi' la quale non assediata non minacciata nè da schiere nemiche, nè da terrore di guerra, ma oppressa da carestia e fame, con quanta diligenza e sollecitudine non fu da lui liberata? 0 generosa e fortunata stirpe, chi potrà mai contar interamente i tuoi onori le ricchezze le dignità? Con ciò sia che tanta è la tua ampiezza, tanta la dignità ed autorità, che a tutti sèi di grandissima ammirazione. Inoltre allevò Narni Bernardo Cardoli Vescovo per santità chiarissimo, e di singoiar dottrina adorno, e altri molti che per brevità non nomino Ma che? Dovrò qui lasciare Feliciano 6) dell'Ordine de' Servi di Maria personaggio per dottrina chiaro, per umanità insigne. per prudenza e consiglio eccellente, e nella Romana curia procurator diligentissimo del su' Ordine? Il quale nelle sue divine prediche, nelle ijuali si ritrovano tutti i pregi oratori', va innanzi agli altri per venustà garbo e soavità? Oh Dio immortale! Chi' più grave di lui nel lodare Iddio? Chi più acre nel vituperare i delitti del popolo? Chi più arguto nelle sentenze? Chi più sottile ne!F insegnare e disputare? Imperocchè della costui soavità si compiacquero moltissimo Venezia Padova e Bologna: la costui ubertà e copia fu ammirata da Roma Capua Perugia, e altre molle chiarissime città d'Italia, e tremarono alla forza terribile del suo dire. Che più? Cotestui possiede tutte le parti del perfetto oratore; imperocchè instruisce, commuove i. diletta. E di questi fu detto abbastanza. Finalmente, com' era il proposto, si parli de' dotti personaggi, dei quali in una degna e ben composta città non puossi immaginare cosa migliore e più degna e più eccellente. E innanzi tratto mi viene in mente Francesco Cardoli, personaggio di singoiar virtù costanza e gravità fornito ed eccellente per le somme doti e dell'animo e del corpo, e nelle greche e latine lettere erudito quanto lo siano i primi letterati, e per eleganza e copia nel dire oratore a' suoi tempi non dispregiato, fu di tanta memoria, che non mi ricorda averne letto altro esempio; imperocchè ciò che uno leggeva alla sua presenza, poniam pure che fossero molte pagine, con le medesime parole il ripeteva, e tosto facendosi all'ultima parola di ciò che fu letto, ridiceva speditamente tutto quanto fino a capo. Che più? Esso fu per memoria più divmo di Ciro Re de' Persiani, più mirabile di Mitridate, più profondo di Giulio Cesare, e più eccellente del poeta Simonide, e fmalmente superò tutti i presenti e passati ch'ebbero grido di gran memoria. Il fratel suo Marco personaggio cosi detto come virtuoso ed onorato, e adorno di tutte quell'arti che son degne dell' uomo libero, simile al fratello e chiarissimo erede della sua eloquenza e memoria; imperciocchè la costui orazione fu sempre reputata e grave e gioconda, e (ciò che più vale) fu personaggio così buono come innocente, e sempre dai buoni lodato. Imperocchè non v'ebbe mai alcun erercizio di virtù, in cui egli non menasse la prima parte; nessun uomo più industrioso, con cui non avesse pratica, niuno, di liberale ingegno, a cui non fosse amicissimo. Che più ? Non mai sparlò de'buoni. E che dirò di Galeotto 7) oratore illustre, filosofo celebre? Che di Massimo Arcano? Che di Michelangelo Arrono? Che di Pier Domenico Scoto, che di Fabio Cardoli? i quali con 1° ingegno la dottrina e la virtù altamente fregiarono cotesta patria, i quali ebbero pratica con la virtù non con 1' inerzia, con la dignità, non con la voluttà, con coloro i quali tengono di esser nati a servigio della patria dei concittadini, alla lode alla gloria, e non al sonno ai banchetti ai dilettamenti. Tanto di loro. In terzo luogo è da parlare degli uomini fregiati di belle imprese militari, ai quali, ( avvegnachè molti ne abbia questa città alimentati ), pure per vanto guerriero e gloria militare va innanzi il Gattamelata; personaggio tanto destro, quanto instancabile nella fatica, e degno, e nato a tutte le grandi imprese; nel quale al certo non risplendettero queste sole virtù che si addicono ad un conduttore di esercito, e che si stiman volgarmente, cioè l'attività negli affari, la fortezza nei pericoli, la destrezza nell'egire, la celerità nell'eseguire, il consiglio Im) provvedi**, te quali e lse in questo solo furon somme. Ed ènne testimonio la chiarissima Padova, la quale nella costui attività, fortezza destrezza celerità e consiglio venne difesa e tolta con valore dalla man del nemico. É. testimonio della costui fede fortezza e scienza militare la statua equestre di bronzo, che a lui eressero in Padova i Veneziani a memoria sempiterna del suo ben adempiuto officio; ma a queste virtù aggiunse le altre ministre e compagne, cioè I' innocenza, la temperanza, la fede, la pieghevolezza, l'ingegno, l'umanità. E queste doti in lui si decantano per somme e divine, queste si consegnano dalla fama alla immortalità, queste si raccomandano alle pagine della storia. Alimentò Narni altri molti peritissimi nella guerra, che lascio a bella posta da parte, perchè la mia orazione, se dicessi meno di alcun di loro non riesca ingrata, se di tatti a sufficienza, non sembri infinita.

A Narni molte tracce dei Cardoli anche

in nobili palazzi  come a palazzo Scotti

Come testimonia questo stemma bipartito

 Stemmi dei Cardoli al Bargello di Firenze.

 

Al piano superiore nella sala dei della Robbia , tra le note ceramiche robbiane, alzando gli occhi al cielo si notano gli stemmi della famiglia Cardoli ,

firrobbia.jpg (76834 byte)

con una particolarità tra i due stemmi che ricordano appunto Quirico de Cardoli de Narnia potestà tra il 1347 ed il 1348 e Ludovico Juvenalis Cardoli de Narnia potestà tra il 1360 ed il 1361 .

fircardoli.jpg (85742 byte)

 

 

 

 

cardoli2.jpg (164875 byte)

 

Lista dei Podesta di origine Narnese

Che governarono Firenze

tra il  1345 ed il 1464

 

p. 26 Berardus Massei

de Narni. 1345

p. 51 Quiricus Carduli

de Narnia. 1347 – 1348

p. 230 Ciappus Tanti de Ciappis

de Narnia. 1359 – 1360

p. 256 Ludovicus Iuvenalis

Cardoli de Narnia. 1360 – 1361

p. 265 Clericus sive Quiricus

Cardoli de Narnia. 1361 – 1362

c. 141 Iohannes de Cuppis

de Narnia. 1379 – 1380

c. 570 Blaxius de Cardolis

de Narnio. 1426

91- Vettorius Iohannis de Cardolis

de Calvi de Narnea. 28 luglio 1415 – 27 gennaio 1416

106- Niccolaus Blaxii

de Masseis de Narnea. 28 giugno 1422 – 11 gennaio 1423

116- Gentilis Vettorii

de Cardolis de Narni. 9 marzo 1427 – 8 settembre 1427

150- Gentilis Vettorii

de Cardolis de Narnea. 24 febbraio 1448 – 23 agosto 1448

153- Iohannes Niccolai

de Masseis de Narnea. 24 agosto 1449 – 23 febbraio 1450

179- Petrus de Catanis sive

de Ghisanis de Cesis

civis Narniensis. 16 maggio – 15 novembre 1464

16 novembre 1464 – 15 maggio 1465

16 maggio 1465 – 9 gennaio 1466

 

cardoli.jpg (179638 byte)

 

firBargello_1.jpg (64009 byte)

vedere anche dettaglio sui potestà a Firenze 

 Fulvio Cardoli

 marmi.htm

Coppe

Cardoli

Cardinali

 

 

 

ideazione e progettazione Giuseppe Fortunati
© Narnia site is maintained by fans and is in no way connected to Walden Media,
Walt Disney Pictures, or the C.S. Lewis Estate.
All copyrights are held by their respective owners.
The Narnia italian logo and page design are copyright © 2003-2012.